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Governo e opposizione: dove si può collaborare
di ANTONIO FUNICIELLO

[14 mag 08] Se Veltroni dovesse continuare ad essere il capo dell’opposizione su una linea politica coerente con quella enunciata nel suo programma elettorale, col quarto esecutivo Berlusconi potrebbe senz’altro trovare punti d’incontro. Con due premesse. Anzitutto a condizione che si tratti di un dialogo trasparente, sottratto a patti di crostate, cornetti e ciambelline. Trasparente vuol dire, ad un tempo, un dialogo politico e parlamentare, cioè giocato sul fronte del confronto aperto tra governo in carica e governo ombra e, nella pratica legislativa, svolto nelle commissioni parlamentari. Non sono precauzioni da poco. Per liberare l’aria dai cattivi odori “incuicisti” è indispensabile rendere lineare e limpido il confronto, restando sui due binari di cui sopra. Chiarite le modalità, la seconda fondamentale premessa attiene i tempi di questo dialogo, da fissare nella misura dei primi due anni di legislatura. Il Partito democratico non può andare oltre per tante ovvie ragioni: dall’urgenza, trascorsi i due anni, di definire meglio la proposta di governo con cui concorrere per le politiche del 2013, fino all’esigenza di scongiurare emorragie elettorali a sinistra, che un dialogo eccessivamente prolungato di sicuro determinerebbe.

Scorrendo la lista dei ministri del quarto governo Berlusconi, è possibile individuare alcuni luoghi privilegiati per questo confronto. La prima scadenza cui tutte le forze politiche dovranno a breve far fronte è il referendum elettorale. La crisi di governo e le elezioni anticipate hanno prodotto lo slittamento di un anno del voto referendario, che si sarebbe dovuto celebrare nella scorsa primavera. Il referendum elettorale è stato nei fatti superato dall’esito delle recenti politiche. Mirava ad una brusca semplificazione del quadro politico e istituzionale, attraverso l’assegnazione del premio di maggioranza non alla coalizione vincente, ma alla lista che conseguisse il migliore risultato. Uno scenario del genere si è già configurato, però, grazie all'iniziativa di Veltroni e Berlusconi, in particolare del primo, rinnovando drasticamente l’offerta elettorale. Ma naturalmente tale iniziativa non può cancellare dall’agenda una consultazione referendaria già indetta. D’altro canto i partiti fuoriusciti dalla bufera delle elezioni di un mese fa hanno tutto l’interesse di consolidare giuridicamente il bipartitismo che di fatto si è determinato. La convergenza di Pd e Pdl verso un modello elettorale di tipo spagnolo potrebbe accontentare tutti. Anche il ministro delle Riforme Bossi, al cui partito il sistema spagnolo garantirebbe un numero considerevole di seggi sia nel caso conseguisse l’8 per cento, sia nel caso conseguisse il 4 per cento (forbice storica della Lega Nord).

Se dovesse poi decollare lo shadow cabinet del Pd, sarebbe utile intervenire sui regolamenti parlamentari, se non addirittura sulla Costituzione, per istituzionalizzare il ruolo dell’opposizione. Sono due strade diverse. La prima più agevole, ma anche più limitante. Il bicameralismo perfetto, con due camere politiche, impedisce a un ministro ombra di essere presente nella camera dove si discute un argomento di sua competenza, qualora egli sia stato eletto nell’altro ramo del Parlamento. Un esempio: qualora nell’aula del Senato si dovesse dibattere alla presenza del presidente del Consiglio in carica, il suo corrispettivo ombra non potrebbe essere presente perché deputato (è esattamente il caso odierno). Finché non ci sarà una sola camera politica sarà impossibile avere in Italia un vero e proprio statuto dell’opposizione. Sta alla nuova maggioranza, insieme alla minoranza, verificare quale strada sia più percorribile, se la modifica dei regolamenti o quella costituzionale.

Altro ministro con cui provare a dialogare è quello del Welfare: la scelta di Maurizio Sacconi non può lasciare indifferente una sinistra che voglia essere, e non solo dirsi, riformista. Sacconi si è già reso protagonista del miglior intervento legislativo del secondo governo Berlusconi, la legge Biagi, dichiarando di voler proseguire il cammino intrapreso assieme al giuslavorista. Per il Pd è l’occasione ideale per ingaggiare una dialettica positiva con un politico intelligente e riformista, provando a condizionare la sua azione, anche talora facendo squadra con lui contro i conservatorismi che dal Pdl si leveranno minacciosi sulla sua opera. Il federalismo fiscale e l’autonomia regionale rappresentano gli ultimi due ambiti in cui il Pd ha l’occasione di incalzare propositivamente il governo. Il Titolo quinto della Costituzione suggerisce la strada sia per realizzare il primo (vedi art. 119) che il secondo (vedi art. 116 comma 3). Il Titolo quinto è in vigore da sette anni, senza che nessuno se ne sia accorto. Sarà la sedicesima legislatura a trasformare definitivamente in senso federalista lo Stato italiano? Staremo a vedere.


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