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La Serbia sceglie l’Europa, dubbi sul governo
di STEFANO MAGNI

[13 mag 08] Il popolo serbo si è espresso: ha preferito l’adesione all’Unione Europea alla retorica nazionalista che criminalizza Bruxelles (e l’Occidente tutto) per la secessione del Kosovo. Le elezioni anticipate sono state decise nel febbraio scorso, proprio in seguito alla dichiarazione unilaterale di indipendenza della provincia serba a maggioranza albanese. Il premier Vojislav Kostunica, fortemente contrario alla secessione, aveva rassegnato le dimissioni. Non era più in linea con il presidente Boris Tadic, suo ex compagno del Partito democratico e rieletto poco prima che la secessione venisse proclamata. Non c’è alcun politico serbo che si possa dire contento della perdita del territorio kosovaro, culla della storia serba: lo stesso Tadic era contrario. Tuttavia era anche sua ferma intenzione proseguire la marcia di avvicinamento della Serbia all’Unione Europea. Cosa, questa, inaccettabile per i nazionalisti che accusano ideologicamente l’Ue di essere la causa di tutta la frammentazione jugoslava sin dal 1991. Nella dottrina nazionalista serba, la patria è assimilabile a un corpo, la cui salute è garantita dall’integrità. Perdere un pezzo di territorio mette a rischio la sopravvivenza dell’intero corpo. A questa dottrina è subentrata, nei decenni di esistenza della Jugoslavia comunista, anche una retorica cospirativa, secondo cui le potenze occidentali vorrebbero la frammentazione della Jugoslavia in entità minori per poterle meglio colonizzare economicamente.

A febbraio, a fronte del riconoscimento del nuovo Stato kosovaro da parte della maggioranza dei governi europei, i nazionalisti hanno potuto rafforzare la loro retorica vittimista, sulla patria serba smembrata per volontà delle potenze occidentali. Tutti i sondaggi, da febbraio sino alla settimana scorsa, davano in vantaggio addirittura il più estremista dei partiti nazionalisti, l’Srs di Tomislav Nikolic, fondato nel 1991 da Vojislav Seselj, l’esecutore principale della pulizia etnica prima nella guerra contro la Croazia, poi in quella contro la Bosnia musulmana, attualmente sotto processo all’Aja per crimini contro l’umanità. Era dato in vantaggio anche il partito Dss di Vojislav Kostunica, un gruppo politico nato, per protesta, da una costola secessionista del Partito democratico (Ds) del presidente Tadic. Inoltre era in ripresa anche il partito socialista (Sps), ex partito comunista serbo di Slobodan Milosevic, il maggiore responsabile delle guerre balcaniche, morto nel 2006 mentre era sotto processo all’Aja per crimini contro l’umanità, l’uomo che aveva dato inizio alla sua scalata al potere della Jugoslavia proprio cavalcando la rivendicazione dell’appartenenza del Kosovo alla Serbia.

La maggioranza degli osservatori internazionali dava per scontata una sicura vittoria della coalizione nazionalista e in seguito la formazione di un governo anti-occidentale, sostenuto da una sicura maggioranza parlamentare costituita da Srs, Dss e Sps, più alleati minori. La previsione del trionfo nazionalista si è addirittura rafforzata il 29 aprile scorso nel momento in cui il presidente Tadic ha deciso di firmare l’Asa, l’accordo di stabilizzazione e associazione con l’Unione Europea, il primo passo verso l’adesione vera e propria. L’accordo è stato firmato, ma non ratificato. Per la ratifica, infatti, Bruxelles attende la consegna al Tribunale Internazionale dell’Aja di altri due ricercati per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia: l’ex presidente della Repubblica serba di Bosnia Radovan Karadzic e l’ex comandante in capo dell’esercito serbo bosniaco Radko Mladic, accusato di essere l’esecutore e il responsabile di alcuni dei peggiori massacri delle guerre balcaniche, tra cui i bombardamenti indiscriminati di Sarajevo (1993-1995) e lo sterminio dell’intera popolazione maschile di Srebrenica (1995). Mladic e Karadzic sono considerati degli eroi dai nazionalisti serbi e sinora sono stati protetti dall’omertà nella loro lunghissima latitanza. Basti pensare che sui due ricercati pende una taglia (emessa dagli Stati Uniti) di 5 milioni di dollari, ma nessun serbo ha mai fornito indicazioni utili alla loro cattura. La consegna di Mladic e Karadzic come condizione per la ratifica dell’Asa, si pensava, avrebbe infiammato il popolo serbo contro l’Europa. E invece la maggioranza dei serbi ha votato per i partiti più europeisti, penalizzando i nazionalisti.

Cosa è successo? I serbi, evidentemente, non sono così nazionalisti come li si dipinge. Hanno valutato gli innegabili vantaggi dell’avvicinamento all’Unione Europea. In questo breve lasso di tempo tra la firma dell’Asa e il voto per il rinnovo del parlamento, il vicepresidente della Commissione europea Jacques Barrot ha presentato a Belgrado il piano di liberalizzazione del regime di visti di entrata dei cittadini serbi nei Paesi dell’Unione Europea. Oltre alla promessa di libera circolazione ci sono anche gli euro: da Bruxelles arriveranno ben 8 miliardi di euro nei prossimi cinque anni per l’aiuto all’agricoltura locale. Sarà possibile fin da subito accedere ai fondi di pre-adesione (160 milioni di euro), per la realizzazione di infrastrutture, la modernizzazione delle campagne e l’adeguamento agli standard europei. Anche i privati hanno colto l’opportunità di investire in una Serbia già mezza europea. La Fiat non ha atteso un giorno dalla firma dell’Asa per iniziare ad investire in modo massiccio: il 30 aprile ha annunciato la firma di un memorandum di intesa per l’acquisizione, da parte di Fiat Group Automobiles dello stabilimento Zastava a Kragujevac. L’industria automobilistica italiana prevede un investimento di 700 milioni di euro per la realizzazione di due modelli, a Kragujevac, aumentando la produzione da 10mila a 300mila auto all’anno. La nuova Zastava sarà al 70% della Fiat e al 30% del governo di Belgrado.

Il 53 per cento dei serbi condivide la firma dell’Asa, secondo un sondaggio di Strategic Marketing effettuato poco prima delle elezioni. Certo non ci si attendeva una crescita simile del fronte filo-europeo. Il Partito democratico del presidente Tadic ha conquistato il 39 per cento dei consensi, distanziando di ben 10 punti percentuali l’Srs di Nikolic. Persino il piccolo Partito Liberale (Ldp), l’unica formazione politica serba che accetta l’indipendenza del Kosovo, ha superato lo sbarramento del 5 per cento e avrà la sua pattuglia di 13 parlamentari. Le elezioni si sono svolte senza incidenti, sono state definite “libere e tranquille” dagli osservatori internazionali dell’Osce, anche questo un segno di maturità della giovanissima democrazia serba. Tuttavia il sistema elettorale serbo e la frammentazione del voto non permettono una soluzione facile per la formazione del nuovo governo, neppure in seguito a una scelta così netta da parte dell’elettorato. Infatti, i Ds hanno 102 seggi e da soli non possono ottenere la maggioranza richiesta (126 seggi) per la fiducia a un governo tutto loro. Non la raggiungerebbero nemmeno coalizzandosi con i liberali. In compenso, la somma degli anti-europeisti, cioè i 77 seggi dell’Srs, i 30 del Dss e i 20 dei post-comunisti, fa una maggioranza di governo. Il futuro governo dipende tutto da come si giocheranno le alleanze. Sia i liberali che i post-comunisti dichiarano di essere l’ago della bilancia. L’ex ministro Svilanovic (Ds) afferma che sarebbe insostenibile un governo senza il suo partito, il vero vincitore delle elezioni. Mentre i due leader dei partiti perdenti, Nikolic e Kostunica, si sono incontrati in serata per discutere sulla formazione di un loro governo. I serbi si sono espressi per l’Europa. Bisogna vedere se qualcuno, al Parlamento di Belgrado, darà loro ascolto.


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