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Il sud-est asiatico e la forza dirompente della natura
di TIZIANA LANZA

[09 mag 08] Ci sono luoghi della Terra che sembrano destinati ineluttabilmente a un’esistenza fatta di sofferenze, lutti e distruzione. Con grande difficoltà si sta facendo il conto delle vittime del ciclone Nargis che si è abbattuto sulla Birmania qualche giorno fa. E non ci rimane che aggiungere una frase ovvia che ci lascia davvero l’amaro in bocca: “piove sul bagnato”. Molto difficile stabilire il reale numero delle vittime, che comunque si conteranno in decine e decine di migliaia. Un milione sarebbero i senzatetto. Il ciclone Nargis ha dunque superato nettamente il bilancio di morti del ciclone che nel 1999 si abbatté in India, provocando 10mila vittime. Oltre ai regimi dittatoriali, presenti e passati, che spesso hanno sprofondato interi Paesi nella povertà e precarietà più assoluta, le popolazioni del sud-est asiatico devono fare i conti con una natura spietata. In Asia, alcuni Paesi sono situati nei punti di congiunzione di quattro placche tettoniche e, soltanto per ricordare gli avvenimenti più recenti, il terremoto-maremoto di Sumatra di quattro anni fa ha provocato 290mila vittime, devastando totalmente un intero territorio con scenari apocalittici. Certo, non dobbiamo dimenticare che spesso la povertà spinge questi Paesi a “tradire” la natura. Allora si disse che la foresta di mangrovie avrebbe potuto in qualche modo attutire l’impatto dell’onda dello tsunami sulle coste. Però si è preferito deforestare per stabilirsi lungo le zone costiere, dove continua a vivere il 70 per cento della popolazione, perché è dal mare che dipende per l’alimentazione, il lavoro e il reddito.

Anche il profilo vulcanico di questi Paesi fa rabbrividire. Proprio fra Giava e Sumatra si trova uno dei vulcani più violenti della Terra, il Krakatoa, che nella sua ultima eruzione avvenuta nel 1883 espulse più di 25 chilometri di roccia, cenere e pietra pomice provocando 37mila vittime. La potenza di quell’eruzione è stata stimata pari a 200 megatoni di Tnt, facendola risultare come una delle eruzioni più violente dell’era moderna. Nel 2004 alcuni ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che il famoso quadro di Edward Munch, l’Urlo, realizzato nel 1893, sia un’accurata riproduzione del cielo norvegese negli anni seguenti quell’eruzione. Gli effetti delle particelle eruttate nell’atmosfera si fecero sentire in diverse parti del mondo. D’altra parte, non va dimenticato che nel solo arcipelago indonesiano si contano un centinaio di vulcani attivi. Ma per tornare ai cicloni, in una classifica delle tempeste avvenute negli ultimi 40 anni, ci si può rendere conto che in Asia sono state più frequenti e anche più distruttive. A partire dal terribile ciclone Bhola, che nel 1970 ha fatto 300mila vittime, e quello del 1991 con 131mila morti, che hanno entrambi interessato il Bangladesh, fino a quello del 1999 che ha mietuto 10mila vittime nella vicina India. Certo, terremoti, tsunami ed eruzioni sono tenuti sotto controllo in alcuni casi da sistemi di monitoraggio all’avanguardia. Un moderno sistema di allerta tsunami esiste per i Paesi del Pacifico, Stati Uniti e Giappone in testa, con sede alle Hawaii, mentre niente del genere esiste ancora nell’Oceano Indiano. In teoria con un po’ di solidarietà da parte dei Paesi più ricchi si potrebbe pensare di realizzare un sistema simile anche lì.

Per i cicloni invece il discorso cambia, perché sono fenomeni atmosferici. Sono per lo più le navi mercantili a effettuare le osservazioni dei venti sugli oceani. Un ciclone si chiama così perché interessa le zone tropicali e la Birmania si trova nella fascia del pianeta attraversata dal tropico del Cancro. Gli ingredienti di questo fenomeno naturale distruttivo sono nuvole, vento e attività temporalesca in rotazione. Perciò, data una perturbazione preesistente, un oceano caldo e venti relativamente leggeri in alta quota, ecco che si può formare un ciclone. Prevedere la nascita di un ciclone è impossibile, ma una volta individuata la tempesta tropicale se ne può seguire l’andamento e il percorso. Anche se, è il caso di dirlo, assomiglia a un cavallo pazzo che procede a briglie sciolte: perciò è molto difficile prevederne gli spostamenti. Secondo alcune fonti di informazione, l’India ha allertato le autorità della Birmania dell’arrivo di questa tempesta tropicale con due giorni d’anticipo ma a quanto pare nulla è stato fatto. Va però ricordato che per fronteggiare una simile forza della natura occorrono dei piani di emergenza preventivi. Un’opera di protezione civile, insomma, che in questi Paesi manca. Ecco perché le catastrofi naturali provocano più vittime nei Paesi poveri. Allora non rimane che affidarsi con speranza alla solidarietà internazionale, senza chiusure di regime e accettando l’aiuto di tutti i Paesi, nessuno escluso.


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