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Le avventure della valigetta atomica

di ELISA BORGHI

[09 mag 08] Passano i governi e passano i presidenti, russi e americani. Uno dopo l’altro gli uomini più potenti del mondo escono di scena e vanno ad occupare il loro posto nella storia. Solo “lei” resta. Sempre uguale a se stessa, mitica e mitizzata scivola da una mano all'altra per non abbandonare mai il fianco della massima autorità del Cremlino e della Casa Bianca. È la “valigetta nucleare”, Cheget per i russi e Football per gli americani, simbolo supremo di un potere atomico devastante ed assoluto e, soprattutto, quintessenza della Guerra Fredda. Negli oltre quarant’anni dello scontro bipolare, la ventiquattr’ore in pelle nera che contiene le apparecchiature necessarie a lanciare un attacco nucleare ha spesso riempito le cronache dei giornali e delle televisioni. Anche se, a onore del vero, va detto che del Football si è parlato assai di più per le gaffe di cui è stata protagonista (ben quattro presidenti Usa: Ford, Carter, Bush padre e Clinton l’hanno dimenticata da qualche parte), che per l’effettivo utilizzo che ne è stato fatto. A tale proposito, quello dell'utilizzo effettivo, si ricorda in effetti un solo episodio, ovvero l'apertura dello Cheget da parte del presidente russo Boris Eltsin nel 1995, quando il Cremlino si confuse e scambiò un missile lanciato dalla Norvegia per compiere degli studi meteorologici per un razzo americano. Passarono dieci febbrili minuti prima che l’equivoco venisse chiarito, la valigetta richiusa e l’apocalisse evitata. E ancora oggi non è chiaro perché la segnalazione di quel lancio, fatta dalle autorità di Washington con un mese di anticipo, a Mosca non sia mai arrivata. Errori di comunicazione tra superpotenze.

Ma dello Cheget si è parlato anche nei giorni scorsi, quando la “valigetta” è uscita dai libri di storia, dagli archivi polverosi e dai film di James Bond per tornare a farsi vedere - e fotografare - nelle stanze del potere. Questa volta russo. Vladimir Putin, insieme alla presidenza del Cremlino, mercoledì 7 maggio ha passato anche lo Cheget a Dmitry Medvedev. E a questo atto è stato dato un certo rilievo. Il neopresidente ha posato a beneficio delle telecamere e della stampa di Stato con la valigetta (di 18 chili) ben stretta nella mano. “Lo Cheget - spiega un’analista del Cremlino - per i russi rappresenta un simbolo della presidenza, è connessa alla natura stessa di quella carica”. Curioso notare che le cose non stanno così oltreatlantico. Quando cambiano gli inquilini della Casa Bianca la “nuclear briefcase” passa di mano senza fare rumore. E se compare nelle fotografie ufficiali è quasi per caso. Certo, a tutt’oggi il Football (il curioso nickname è mutuato dal nome in codice di un attacco aereo) rimane ancora e sempre al fianco del presidente, gli Usa però hanno abbandonato la retorica del “monopolio dell’apocalisse”. Il potere dell'atomo è diventato troppo condiviso per costituire un vanto: non solo è cresciuto il numero delle potenze nucleari ma persino Al-Qaeda millanta il suo Cheget. Dare troppa enfasi al rito del passaggio della valigetta poi, potrebbe generare equivoci e veicolare un messaggio provocatorio di cui Washington non ha proprio bisogno. Valore simbolico a parte, è lecito chiedersi se abbia senso, nel mondo contemporaneo, utilizzare uno strumento che, sebbene venga costantemente aggiornato secondo i dettami della tecnologia più avanzata, può essere tranquillamente rimpiazzato da qualsiasi telefono cellulare.

Già, perché quando Kennedy – all’indomani della crisi di Cuba - chiese di essere fornito di un mezzo che gli permettesse di comunicare con i comandi militari, ovunque lui si trovasse, per poter ordinare di persona un eventuale attacco atomico, i cellulari non esistevano. La “valigetta”, che nasce dunque come una radio potentissima, per assolvere alle funzioni di comunicazione oggi sarebbe superflua. Pare però che l’utilità della “nuclear briefcase” non si esaurisca nell'emissione di onde radio. Fonti anonime riferiscono che dentro lo Cheget, oltre alla tecnologia informatica segnalata dalla piccola antenna che fa capolino vicino al manico, ci siano anche una serie di documenti relativi alla sicurezza nazionale. In particolare, ci sarebbe un “black book”, un libro nero che spiega nel dettaglio come gestire l’emergenza nel caso di un attacco nucleare in madrepatria. In proposito, c’è chi riferisce che nel 2001 - subito dopo l’attacco alle Torri Gemelle - il presidente George W. Bush abbia aperto la valigetta proprio per consultare il manuale. Ma questa è solo una voce mai confermata su cui negli Stati Uniti si è molto speculato. Intanto, presidente dopo presidente, la valigetta resta, circondata dal suo alone di mistero. Ultimo baluardo di un mondo più ordinato. E molto più semplice da capire.


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