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Perché il nord-est non è l'America

di CARLO MENEGANTE

[07 mag 08] La sconfitta del Popolo delle libertà a Vicenza nelle amministrative ha fatto più rumore a Roma che in Veneto. La vittoria di Achille Variati, che già fu giovanissimo sindaco di Vicenza negli anni Novanta ed è stato capogruppo dell’opposizione nel Consiglio regionale fino a pochi giorni fa, ha sorpreso solo fino ad un certo punto chi “naviga” negli ambienti vicentini e conosce un po’ la realtà locale: lo stesso Ilvo Diamanti (La Repubblica del 30 aprile scorso) non ha mancato di sottolineare come uno dei fattori principali (a mio parere quello determinante) per la sconfitta di Amalia Sartori – candidata per il Popolo della libertà, socialista prima e poi forzista storica – sia stata la “scelta dall’alto”, l’investitura che lei ha ricevuto non per il fatto di essere il naturale candidato sindaco di Vicenza (la Sartori, tra l’altro, non è di Vicenza ma di un paese a 50 chilometri dal capoluogo, ai confini con la provincia di Trento) ma per meriti nella sua lunghissima attività politica in Forza Italia. La Lega sostiene che, se come candidato fosse stata scelta la leghista Manuela Dal Lago, il Pdl avrebbe vinto al primo turno, perché “la Manuela” è vicentina e tanto ha fatto da presidente della Provincia e da consigliere comunale per la città capoluogo, e di lei i vicentini si fidano ad occhi chiusi. La spiegazione della sconfitta sta tutta nel calo dell’affluenza alle urne tra primo e secondo turno: la gente il 14 aprile è andata a votare in massa per cambiare un governo “non sostenibile” ed ha votato di conseguenza anche per le comunali. Ma nel momento in cui, 15 giorni dopo, l’Italia era già in mano di Berlusconi, in tanti non si sono sentiti più in dovere di votare per un sindaco che non percepivano come “loro”. Anche perché Variati è tutto fuorché un estremista ed ha già amministrato la città, per cui la sua possibile elezione non era mai stata giudicata “pericolosa”.

Al nord-est, e particolarmente a Vicenza in questo caso, interessava svoltare a livello nazionale per contare finalmente qualcosa a Roma e ricominciare a non sentirsi più soltanto una miniera per le casse dello Stato. Raggiunto quest’obiettivo, il resto – ovvero vincere il secondo turno alle amministrative - è passato in secondo piano. In un libretto uscito nel settembre del 2007, “Manifesto per la Metropoli Nordest”, Gigi Copiello, sindacalista Cisl vicentino vicino al Partito democratico, ha cercato di capire dove nasca questo bisogno del nord-est di “farsi sentire”, e di fornire un’interpretazione al caso senza cadere nell’antileghismo. Copiello dice che il nord-est si sta riprendendo dopo la piccola crisi a cavallo tra i due millenni, ha 7 milioni di abitanti, aree industriali sconfinate, infrastrutture e aeroporti; ha Venezia, il Garda, le Dolomiti, le ville venete. Ha tutti gli ingredienti per essere un polo attrattivo come Londra o Los Angeles, ma gli manca “l’anima. Quell’anima attira e trattiene gente da tutto il mondo. Quell’anima è un preciso punto nelle carte geografiche del mondo. La gente va là. E non son più solo i disperati, i senza lavoro. Va là anche chi sta bene. Chi vuole star bene. Là c’è vita”.

Il Triveneto ha grandi attrazioni turistiche, ma il turismo è del tipo mordi e fuggi. Ci sono le zone industriali, si produce una quantità enorme di cose, ma manca un pensiero industriale: sono pochi gli imprenditori che stanno al passo coi tempi o che riescono addirittura ad anticiparli. Si lavora duro, ma la ricerca viene portata avanti da pochi. Si è lasciato scappare nel nord-ovest tutti i nodi, i poteri forti, le sedi dei grandi media, le direzioni delle multinazionali degli affari e della finanza, le grandi esposizioni. Tutto perché ci si è accontentati di essere una realtà policentrica senza rendersi conto che invece era il caso di diventare metropoli. La politica di certo non ha favorito la creazione di una metropoli, ma anzi ha cercato con ogni mezzo di accrescere, pur di poco, il proprio “orto”. Ogni città ha voluto farsi il suo aeroporto, la sua università, il suo centro di ricerca, la sua piccola fiera, invece di “concentrarsi sul prodotto e sulla vocazione” del territorio. E così sono andate sprecate tantissime risorse. Per Copiello il nord-est si è accontentato di quello che è, senza cercare con insistenza di diventare “il meglio”. Ma non tutto è perduto: Padova è ancora un polo universitario di prim’ordine e sforna ricercatori che fanno la fortuna di università e aziende in tutto il mondo; Vicenza ha industrie leader in molti campi, tra i quali l’abbigliamento, e si potrebbe continuare così per ogni città del Triveneto. Basterebbe “fare rete”, creare un grande nodo e unirsi per contare di più e per arrivare ad essere il meglio. Anche e soprattutto attraverso la politica.

Il terreno su cui lavorare, indubbiamente, c’è tutto. Ma c’è la volontà di diventare i migliori? O ci si accontenterà, fino a quando sarà possibile, di stare così? L’impressione è che all’uomo del nord-est interessi di più starsene tranquillo, con uno Stato meno invadente dal punto di vista fiscale e con maggiori autonomie per gli enti locali, con una maggiore sicurezza nelle città e nei paesi, con la speranza che gli eletti in Parlamento lavorino per la loro gente e prendano delle decisioni. Fino a quando il modello nord-est durerà, nessuno riuscirà a cambiarlo. Si continuerà a essere una realtà policentrica, senza ambizioni di diventare una metropoli. Chi sogna l’America cercherà di trasferirsi là, e non di crearsene una nel nord-est. Il rischio è quello di restare preda, fino all’ultimo istante, del sogno di essere autosufficienti - e veneti - in eterno. Importante sarà riuscire a salvarsi in tempo, prima che il Titanic-nord-est affondi, quando sarà l’ora.

 

 


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