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Putin-Medvedev, la diarchia che può funzionare

di STEFANO GRAZIOLI

[07 mag 08] In due giorni la Russia cambia presidente e primo ministro: i giochi sono fatti da tempo, ma al Cremlino e dintorni la simbologia ha ancora un suo valore. E allora se mercoledì Dmitry Medvedev giura da capo di Stato, giovedì Vladimir Putin assume l’incarico di nuovo premier della Federazione. Inizia così ufficialmente a Mosca un’era che, pur con qualche dubbio da sciogliere, promette di essere la continuazione di quella iniziata nel dicembre 1999 con il passaggio di consegne tra Boris Eltsin e Putin. Niente cambiamenti di rotta sostanziali, né in politica interna né in quella internazionale, semmai qualche correzione e qualche aggiustamento di cui si preoccuperà il numero uno al governo.

Il nodo fondamentale, per capire come si svilupperà il Paese nei prossimi anni, sia dal punto di vista economico-sociale al proprio interno, sia sullo scacchiere geopolitico mondiale, sarà quello del funzionamento (ottimo, buono, sufficiente, disastroso?) della originale diarchia Medvedev-Putin: dalla loro capacità di cooperare, limare i conflitti, tenere a bada le anime dei gruppi concorrenti, uscirà la Russia del futuro. Al di là di tutte le varie teorie dei cremlinologi sulla distribuzione effettiva del potere nel prossimo futuro (la Costituzione della Federazione russa dà maggiore importanza al presidente, ma leggi e regolamenti possono alterare facilmente questa posizione, senza contare che il partito di Putin, Russia Unita, gode alla Duma di una maggioranza superiore ai due terzi necessaria per le modifiche costituzionali) al momento tutto fa pensare che l’architettura progettata al Cremlino possa reggere qualche soffio di crisi e il meccanismo della doppia reggenza abbia i presupposti per guadagnarsi anche sul lungo periodo un voto positivo.

Sono le differenze con il traghettamento Eltsin-Putin, improvvisato, mal gestito, dettato dall’urgenza e dalla gravità della situazione, con quello Putin-Medvedev, preparato con sufficiente pazienza, coordinato e allestito in un momento di prosperità, a suggerire una lettura di questo genere. Il rapporto tra l’ex Kgb Vladimir Vladimirovic, che dopo essere stato primo ministro con Eltsin è stato cooptato al Cremlino e ora ritorna alla casa Bianca, e il giurista Dmitry Anatolevich appare solido abbastanza per mantenere le promesse: presidente e primo ministro non sono due elementi estranei l’uno all’altro (come lo sono stati Eltsin e Putin), ma rappresentano un unico gruppo di potere che, pur con diverse anime e con questioni da discutere (dal controllo delle agenzie federali a quello dei governatori e delle holding di Stato), persegue obbiettivi chiari e comuni. I compiti saranno divisi tra i due, con Putin piú attento alle riforme del Paese e al controllo e allo sviluppo nelle regioni e Medvedev in un ruolo fermo, ma rassicurante sulla scena internazionale. La maggioranza dei russi (78 per cento) si è detta soddisfatta in un recente sondaggio degli otto anni di presidenza Putin e si aspetta altrettanto con lo zar che trasloca dalle torri sulla Piazza Rossa al casermone sulla Moscova: al di fuori del Paese la comunità internazionale non deve certo aspettarsi sorprese da un presidente legato a doppio filo con il suo predecessore.

 


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