Primarie 2004.
La strada verso Boston
di Andrea Mancia
Nella primavera dello scorso anno sembrava una battaglia ristretta a tre
candidati. A destra l'ex running-mate di Al Gore, il senatore Joseph
Lieberman, genuino interprete dello spirito dei "falchi democratici"
interventisti in politica estera e moderati in economia. Al centro l'ex
leader del partito alla Camera, Dick Gephart, clintoniano di ferro ed
uomo di punta dell'establishment washingtoniano. A sinistra il senatore
del Massachusetts John Kerry, liberal duro e puro con un passato di
veterano di guerra in Vietnam. I tre, in un sondaggio Gallup del 23
aprile 2003, raccoglievano il 56 per cento dei consensi totali
(Lieberman al 22 per cento, Kerry al 18 e Gephardt al 16), con un 15 per
cento di potenziali elettori ancora indecisi.
Il
restante 29 per cento era diviso tra i cosiddetti underdog: il senatore
del North Carolina John Edwards, avvocato miliardario già "scartato" da
Gore nel 2000 per la candidatura alla vicepresidenza (8 per cento); l'ex
governatore del Vermont, Howard Dean (6 per cento); il senatore della
Florida, Bob Graham (5 per cento); l'ex senatrice dell'Illinois, Carol
Moseley Braun (4 per cento); il reverendo Al Sharpton, leader del
National Action Network reduce da un paio di batoste elettorali a New
York (3 per cento); il congressman di Cleveland, Dennis Kucinich,
campione ultra-liberal vicino ai fermenti no-global (3 per cento). Oggi,
dopo poco più di otto mesi, la situazione si è completamente ribaltata.
Graham si è ritirato dalla competizione. I tre front-runner si sono
trasformati in underdog e ognuno di loro si aggira intorno al 10 per
cento nei sondaggi.
Lieberman, che a fine agosto era addirittura arrivato al 23 per cento,
oggi è crollato al 9, malgrado l'appoggio di una rivista storica della
sinistra statunitense come "New Republic" e i 7 milioni di dollari spesi
fino ad oggi (su un totale di 11 milioni raccolti). L'aspetto più grave,
poi, è che a parte il Delaware, in cui le primarie sono fissate per il 3
febbraio, gli Stati in cui l'ex candidato alla vicepresidenza è più
forte (Florida, Texas, New Jersey) voteranno dopo marzo, quando forse le
sorti della battaglia saranno già decise.
Kerry ha
praticamente sbagliato tutta la sua campagna elettorale. Ha litigato con
quasi tutti i suoi consiglieri, si è spostato al "centro" troppo presto
perché convinto di non avere alcun avversario temibile alla propria
sinistra e in generale la sua candidatura non è mai sembrata sul punto
di decollare. E basterebbe un passo falso nel vicino (al suo
Massachusetts) New Hampshire, il 27 gennaio, per compromettere forse
irrimediabilmente ogni sua residua speranza. E i sondaggi, fino ad oggi,
parlano chiaro: il senatore insegue Dean con 20 punti percentuali di
svantaggio ed è stato superato di slancio anche da Wesley Clark. A
differenza di Lieberman, però, Kerry è riuscito a raccogliere più di 20
milioni di dollari e a spenderne "soltanto" 12.
Qualche
milione di dollari in tasca (quasi 6) ce l'ha anche Gephardt, ma l'ex
speaker democratico della Camera puntava molto sull'appoggio dei
sindacati, che hanno però preferito scommettere su Dean. Il veterano
deputato del Missouri sta dando fondo a tutta la sua esperienza per non
scomparire dalla scena e molte delle sue chance sono appese al filo
dell'Iowa, dove il 19 gennaio si svolgeranno le prime elezioni primarie.
Gephardt, al momento, è staccato di qualche punto da Dean, ma deve
necessariamente portare a casa un buon risultato ed evitare ad ogni
costo di essere scavalcato da un Kerry in rimonta nelle ultime
settimane.
Il
"quarto incomodo" Edwards, ormai viaggia mestamente intorno alla sesta
posizione, intorno al 7 per cento, malgrado nei dibattiti pubblici non
abbia voluto partecipare all'escalation dei toni e delle accuse
reciproche che ha caratterizzato questi primi mesi di campagna
elettorale. O forse è stato penalizzato proprio per questo motivo. Il
suo destino, con ogni probabilità, lo attende il 3 febbraio in South
Carolina: se non riuscisse a battere Dean ad un passo da casa propria,
qualsiasi speranza di sopravvivenza sarebbe cancellata nel giro di
ventiquattr'ore.
Con la
lenta scomparsa dei candidati dell'estrema sinistra (Kucinich, Sharpton
e Braun), lentamente ma inesorabilmente assorbiti dall'ascesa di Dean, e
con la prospettiva - entro i primi giorni di febbraio (dopo Iowa, New
Hampshire e South Carolina) - di mettere in naftalina le candidature di
Gephardt, Kerry ed Edwards, la corsa verso il congresso di Boston sembra
sempre di più una "questione a due" tra i candidati di cui ci occupiamo
più compiutamente in questo numero di ideazione.com,
Dean e
Clark, con
Lieberman ad interpretare il ruolo di possibile sorpresa. E si tratterà
di una scelta destinata a produrre conseguenze per i prossimi decenni
della politica statunitense e mondiale.
Da quando
Dean è emerso dalla mischia come potenziale front-runner, la vulgata
mediatica più diffusa è che l'ex governatore del Vermont sia in assoluto
il candidato preferito dai Repubblicani, perché troppo a sinistra per
convincere gli elettori. L'ex generale Clark, entrato nella contesa in
ritardo rispetto ai concorrenti, sembra a prima vista più appetibile per
gli "swing voters" centristi che spesso hanno deciso la sorte delle
elezioni. Ma l'euforia nei sondaggi che aveva accolto i primi giorni di
campagna elettorale di Clark è svanita prestissimo, con il sorpasso
operato da Dean e la sua continua ascesa negli ultimi tre mesi dello
scorso anno. Angry Howard, inoltre, è stato in grado di raccogliere -
sopratutto grazie ad Internet - una quantità di denaro enormemente
superiore rispetto al suo avversario (40 milioni di dollari contro 4). E
la rimonta di Clark delle ultime settimane (da meno 21 punti percentuali
a meno 6) è ancora allo
stato embrionale, con Dean che si è ripreso immediatamente dopo un
momento di iniziale sbandamento.
I vertici
del partito democratico avevano deciso di anticipare il più possibile le
primarie negli Stati più importanti per impedire la vittoria di
candidati a sopresa e proteggere quelli preferiti dall'establishment. Ma
questa strategia, paradossalmente, potrebbe ora favorire proprio Dean
che con un paio di vittorie importanti nei primi caucus potrebbe
acquistare il "momentum" sufficiente per staccarsi e non essere più
ripreso dagli inseguitori quando, appena 6 settimane dopo il caucus del
New Hampshire, saranno contemporanemamente chiamati alle urne i
democratici di New York, California, Texas e Ohio. Il trucco escogitato dai clintoniani per far
emergere un candidato moderato in grado di insidiare la presidenza
uscente di Bush e riscattare il partito dopo la sconfitta delle ultime
elezioni di mid-term, insomma, potrebbe finire con l'avvantaggiare
proprio uno dei più estremisti fra i contendenti, trasformando le
presidenziali 2004 in una sorta di referendum sull'amministrazione
repubblicana con scarse probabilità di vittoria. I durissimi attacchi
lanciati negli ultimi mesi contro Dean dai suoi avversari, poi, sono già
diventati un preziosissmo patrimonio di propaganda per il GOP in vista
dello scontro finale. E mentre il Time e l'Economist parlano di
un'America polarizzata e rissosa, quello che va in scena sotto gli occhi
di tutti è lo spettacolo di una sinistra che - complice anche il
meccanismo stesso delle primarie - spinge sempre più verso sinistra,
mentre i repubblicani (che non hanno alcun serio concorrente a destra)
si possono permettere il lusso di corteggiare con largo anticipo il voto
moderato, per mezzo di iniziative come quelle sul Medicare o sulla
regolarizzazione degli immigrati.
Affidarsi
troppo al peso dei sondaggi a quasi un anno dalle elezioni vere e
proprie è senza dubbio rischioso, ma
la sensazione è che Dean potrebbe conquistare la nomination a spese del
suo stesso partito, azzerando di fatto le possibilità di una forte
candidatura democratica alla Casa Bianca. Forse è troppo frettoloso chi
parla di un'elezione landslide a favore di George W., come quella di
Ronald Reagan ai danni di Walter Mondale nel 1984. E c'è addirittura chi
scomoda la debacle di George McGovern nel 1972 contro Richard Nixon. Una
cosa sola è certa: quando si immagina il possibile esito di uno scontro
Bush-Dean, sono davvero pochi i democratici capaci di sorridere. Mentre
più di un repubblicano già pensa a come fermare Hillary Clinton nel
2008.
16 gennaio 2004
mancia@ideazione.com
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