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[13 mar 08]
La banda dei piccoli

Bruno Vespa ha ricevuto a “Porta a porta” la banda dei piccoli, cioè dei partiti rimasti indipendenti dai due colossi, Pd e Pdl. Le vicende che li hanno portati all’indipendenza variano da un caso all’altro. Costante, però, un certo interesse del capo di un partito piccolo a restare tale, anziché divenire un “colonnello”. Il capo deve fare i conti con i sottoposti (se questi sono pochi avrà la vita più facile); in compenso sarà lui l’ “esponente”, il resto restando “base”. Non gli sarà difficile, perciò, comparire come capolista alle nazionali o alle europee e venire eletto, purché superi lo sbarramento previsto. Quando, per contro, aspiri alla guida della nazione gli converrà assoggettarsi per il momento al capo supremo, con la speranza di scalzarlo; o che muoia.

Certi movimenti politici sono destinati per natura a restare fuori di un partito grande. Alcuni, per esempio si perpetuano per scissione, a guisa di microrganismi. Il Partito socialista, in particolare, è sempre sul punto di scindersi. Da una sua scissione a sinistra nacque il Pci, da una a destra la socialdemocrazia di Saragat. Comprensibile che il Pd lo non abbia voluto, aspirando a riprodursi, non per scissione, ma per congiunzione di maschio (l’Ulivo) e di femmina (la Margherita).

L’Arcobaleno è intransigente, almeno nella teoria, anche a costo di non incidere sulla “realtà effettuale”. Il comunismo di Bertinotti, in particolare, è affettivo, non effettivo, perché non ha quella adattabilità che Stalin imponeva a Togliatti. Il comunismo autentico non crede alle “intenzioni” più o meno buone. Queste sono, al contrario, l’essenziale per Casini, che le chiama “valori”. All’interno dei grandi partiti, poi, si riformano i sottopartiti che ripropongono gli stessi problemi e le stesse tentazioni. Considerate, ad esempio, la situazione di Fini. All’interno di An era per lui salutare che se ne andassero Storace e la Santanchè: era il mezzo per restare proponibile come successore di Berlusconi.

 


 

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