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[12 mar 08]
Precarietà, un
destino ineludibile
La precarietà del lavoro è deprecata; ma ciò che il realtà si deplora è la precarietà della vita. Coloro che pretendono un lavoro stabile sono, senza saperlo, seguaci di Feuerbach, secondo cui il vero Dio è l’uomo. Io sono l’ultimo ad aver diritto di ridere del lavoro stabile, perché mi fu concesso il più stabile di tutti: la cattedra universitaria. Il professore universitario, almeno ai miei tempi, non aveva nessun obbligo e tutte le garanzie. Non aveva, ad esempio, l’obbligo di lavorare, e neppure di presentarsi in sede. A Trieste un professore di latino arrivò dopo anni. I corsi erano mutuati da altri insegnamenti e gli esami li facevano gli assistenti (non pagati). Anche in caso di guerra l’ordinario era esente per legge dal richiamo alle armi.
La conseguenza è che, al contrario degli impiegati, il cattedratico vede la pensione come uno spettro. Vorrebbe tenerla lontana per sempre, restando professore e-merito o (un tempo) libero da obblighi come il libero docente, che non andava fuori luogo. Il mio maestro Guzzo chiedeva ai successori il permesso di fare un ora di lezione alla settimana al loro posto. Ma, al disotto della divinità, ogni occupazione è precaria: “Viviamo sotto il sole”. Vi sono anche occupazioni estremamente precarie come, un tempo, quella di allenatore dell’Inter, eppure estremamente ambite perché, anche lasciata la panchina, rimane lo stipendio. Ma anche in casi meno rilevanti vi sono “ammortizzatori sociali”, che dovrebbero permettere di cambiare mestiere.
La precarietà caratterizza ciò che si ottiene con una “preghiera” e può essere ritirato da chi lo concede. Nel lavoro, se bene usata, coincide con la flessibilità o elasticità, grazie a cui si riducono i tempi di crisi. Nulla rimane fisso in economia: ciò che si produce dovrà sempre cambiare col tempo. E chi lavora, con qualsiasi mansione, deve adattare alle nuove esigenze il suo modo di lavorare. I sindacati, per contro, pensano che l’interesse generale consista nel lasciare tutto immutato. Pensate a quante persone, più di un secolo fa, rimasero disoccupate perché non si usavano più le crinolines. Se si fosse tentato di lasciare fissa l’occupazione con decreti ministeriali, ad esempio pagando la rottamazione delle crinolines usate a chi ne comprasse una nuova, oggi saremmo sommersi da crinolines inutili, come la Campania dalla spazzatura.
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