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Israele-Hamas, un dialogo impossibile
di MATTEO GUALDI

[13 mar 08] La risposta di Israele al peggiore attentato terrorista degli ultimi tempi, costato la vita ad otto studenti ed il ferimento di altri sette, non si è fatta attendere. Ieri, infatti, le unità speciali della polizia israeliana hanno ucciso a Betlemme Mohammed Shehada, indicato come il mandante della strage di Gerusalemme. Il governo Olmert ha scelto l'unica strada possibile, a differenza di quanto indicato all'indomani dell'attentato dal nostro ministro degli Esteri Massimo D’Alema, che aveva rilanciato il dialogo con Hamas. Dai microfoni di TV7, il rotocalco televisivo diretto da Gianni Riotta, aveva dichiarato: “A me sembra una posizione saggia. Non so se sia la soluzione, ma la tenterei”. A quanto pare, stando ad un sondaggio comparso in questi giorni su Newsweek, il ministro è in buona compagnia, visto che il 64 per cento degli israeliani sembra convincersi della necessità di avviare un canale diretto di dialogo con Hamas. Ma con quali finalità? Questa posizione è chiaramente il frutto di un comprensibile senso di frustrazione, che cresce di fronte al fallimento di ogni tentativo di raggiungere la pace. Ma siamo sicuri che nuove concessioni portino a raggiungere l’obiettivo? Il problema, infatti, è che una comunicazione dialogica prevede l’interlocuzione tra due soggetti, entrambi disposti ad ascoltare le ragioni dell’altro. Hamas è intenzionata ad ascoltare le ragioni di Israele? Appare molto difficile che una forza che contiene nella propria costituzione fondante l’idea che  "la Palestina è terra di proprietà islamica, consacrata alle generazioni musulmane fino al giorno del giudizio",  possa sedersi ad un tavolo per trattare con Israele.

Anche perché rappresenterebbe un riconoscimento di legittimità nei confronti del governo di Gerusalemme che i leader di Hamas non intendono fare. Ma anche qualora accettassero di sedersi intorno ad un tavolo, quali condizioni potrebbero accettare le parti? E’ davvero credibile che si possa trovare un’intesa con i terroristi di Hamas, quando non si riesce a portare a termine un negoziato di pace neppure con Abu Mazen? Israele pone delle questioni alle quali non può rinunciare senza mettere a rischio la propria sopravvivenza: il riconoscimento del carattere ebraico dello Stato di Israele, il problema dei confini e quello dei rifugiati, tanto per citarne alcune. Su questi argomenti il governo Olmert si è già spinto al limite durante i negoziati di Annapolis. Alle concessioni fatte,  purtroppo, non sono seguiti fatti concreti, ed Abu Mazen ha incassato il rilascio di numerosi detenuti senza dare nulla in cambio. Ancora una volta sembra ripetersi lo schema di sempre, nel quale era maestro Yasser Aarafat: ottenere il massimo risultato, alzando continuamente la posta, senza dare nulla in cambio. Il dialogo, con Arafat prima, e con Abu Mazen poi, ha portato risultati? Sfortunatamente per Israele, no. Fino ad oggi Israele ha sempre fatto concessioni, fino a spingersi al ritiro unilaterale da gran parte delle colonie, ma ha ottenuto in cambio solo nuovi lanci di razzi Qassam e attacchi da parte degli organismi internazionali. E non c’è alcun motivo per pensare che aprendo un dialogo con Hamas si potrebbe ottenere qualche risultato concreto.

Inoltre, al di là delle questioni pratiche, o meglio, pragmatiche, ci sono le questioni etiche, di principio e viene da chiedersi se sarebbe giusto sedersi al tavolo a trattare con i terroristi. Anche qualora si ottenesse qualcosa in cambio, che segnale si darebbe alle numerose formazioni terroristiche che assediano Israele? Il messaggio che verrebbe immediatamente recepito sarebbe quello di una resa ai terroristi, che verrebbero riconosciuti come interlocutori, sconfessando così Abu Mazen e legittimando i metodi di lotta da essi usati (il terrorismo come arma per raggiungere i propri scopi). Prima ancora che una disfatta di Israele, sarebbe una sconfitta della civiltà, un segnale di debolezza che legittimerebbe una forma di lotta inaccettabile, vigliacca, perché colpisce nel mucchio, tra la folla di civili, uccidendo indistintamente vecchi, donne, bambini, nelle scuole, nei mercati. Una forma odiosa che non si deve in nessun modo accettare e giustificare. Per questo, non si può perdere tempo a discutere di ipotesi irrealistiche e dannose, ma bisogna continuare con convinzione sull’unica strada percorribile: il dialogo con coloro i quali sono disposti ad ascoltare, a cercare un compromesso, ad accettare qualche piccola rinuncia in vista del bene supremo: la pace e la definitiva convivenza di due popoli, vicini, amici e, finalmente, liberi.


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