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Le declinazioni del noir cine-letterario
di GIAMPIERO RICCI

[10 mar 08] Come si vive a casa nostra il revival cine-letterario in salsa noir? Sulle colonne del Corriere della Sera, Giovanni Mariotti rivendica come i “polizieschi dialettali” e i “noir che sono Arcadie del turpiloquio” siano una sorta di degenerazione del lessico di Gadda. Ma a ben vedere il vero assente nella fioritura del genere noir in Italia, sembra essere proprio il senso di una ricerca lessicale. Lucarelli, De Cataldo, Farinetti hanno tutti ben digerito la lezione di Ellroy: curano le ambientazioni, padroneggiano con gusto il mistero, ma manca in loro una vera ricerca stilistica. Curioso il recentissimo Il segreto tra di noi (Mondadori, 2008) di Farinetti. Il libro è senz’altro meno pregno di riferimenti espliciti e stilemi propriamente noir, ma è noir intimamente, nello scandagliare dentro la vicenda familiare con accenti nazional-popolari (1982 e tutti insieme a festeggiare il mondiale di Paolo Rossi) e con una tensione nei personaggi che ricorda il romanzo russo.


Mettendo da parte il divulgativo Lucarelli e il suo
Mistero a piccole dosi (Datanews, 2007), certamente il meglio prodotto in Italia in questi anni è rappresentato da Romanzo criminale del giudice di Corte d’Assise Giancarlo De Cataldo. Il libro è del 2002 (Einaudi), il film per la regia di Placido del 2005. Entrambi hanno ottenuto un tale successo di critica e pubblico da aprire un filone che porta diretto fino ai giorni nostri e a film come Mio fratello è figlio unico di Daniele Lucchetti (2007), dove alla ribalta va un pezzo di storia italiana, in una lettura che si sforza di essere meno politicizzata del solito e a volte ci riesce anche. Poi è naturale, come spesso accade, che mentre il treno è in corsa provino a salire un po’ tutti. A casa nostra il risultato è spesso grottesco e la banalità dietro l’angolo. Nella nostra speciale classifica del noir da evitare finisce Gabbie, ed è un record perché si tratta di un libro che deve ancora uscire per le Strade Blu di Mondadori. L’autore è Luca Casarini, il padovano protagonista del movimento no global e capo dei Disobbedienti. Tranquilli: il protagonista del libro, Nico, un avvocato che difende gli immigrati e milita anche lui con i no global, sembra invece sia un comunista di quelli che vanno bene, di quelli con i soldi. E pazienza per il G8 di Genova e per il nome della casa editrice che pubblicherà il libro.

Ma parliamo pur sempre di lettura cinematografica da crime story, lettura che si vuole far partire dalla folgorante iperbole tarantiniana. Dal canto loro, invece, autori cinematografici come Kitano, Woody Allen e Cronenberg, alle prese con una maturità artistica che richiede opere “pesanti”, scelgono di reinventare De Palma e provare a dimenticare Tarantino. Kitano era un comico televisivo quando in Giappone uscì con due noir: Violent Cop (1989) e Boiling Point (1990). Kantoku – Banzai (2007) è una autocelebrazione della sua opera cinematografica, in cui ritorna il lato comico della sua ispirazione, però dentro un raccontato meditativo che esplode nei suoi proverbiali raptus esasperati: un cattivo maestro oramai perso nel suo nichilismo senza speranza che ride del suo cinismo. Il cofanetto Rarovideo con la sua opera è la prima edizione italiana seria. Con Match Point (2006), cui segue un deludente Sogni e delitti (2008), Woody Allen gioca invece con il rimorso e il senso etico, con ciò che è giusto fare e ciò che invece si finisce per fare. I personaggi sono paradigmi viventi di quella società disorientata dal grado di benessere raggiunto che resta in cerca di punti di riferimento.

A giudicare dalla lettura di Chris, il protagonista di Match Point colto all’inizio del film a leggere Delitto e castigo, al momento sembra essere Dostoevskij il paletto piantato in terra da Woody Allen. La promessa dell’assassino di Cronenberg, film rimasto nelle sale sino a poco tempo fa, ci parla di un maestro del cinema attratto dalla Londra russa degli Abramovich, dalla infiltrazione slava nel tempio del moderno sentire civile. E il carattere della presenza russa che Cronenberg teatralmente storicizza è tutt’altro che civile. Mafia, prostituzione, mutilazioni, realistici scontri a sangue freddo, alla fine dei quali, però, il messaggio che arriva allo spettatore è quello di un male quasi necessario. Ove possibile.



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