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[10 mar 08] Libertà di educazione o scuola fai da te? Di sicuro,l'Italia è in piena emergenza educativa. E mentre l'Ocse boccia senza riserve il nostro sistema di istruzione, la scuola viene posta al centro di una delle sette missioni del programma del Popolo delle libertà. Sul tema abbiamo sentito Valentina Aprea, segretario di presidenza della Camera dei deputati e sottosegretario all'Istruzione, Università e Ricerca nello scorso esecutivo Berlusconi.
Che cosa pensa dello scambio di vedute della scorsa settimana tra l'Avvenire e il Corriere della Sera a proposito della libertà di educazione?Quando si ha paura di una prospettiva, la si deforma e la si ridicolizza. Per di più facendo passare l’interlocutore per uno sprovveduto. Il problema, infatti, non è come lo ha posto, insidiosamente, il Corriere. Nessuno vuole la libanizzazione del sistema di istruzione e di formazione italiano. Ma, se si vuole davvero, e non a parole, un sistema di istruzione e formazione fondato sui principi costituzionali e sul dialogo interculturale, non possiamo più riproporre la scuola unica dello statalismo omologante. Già nel 1948 la Costituzione aveva respinto questa prospettiva. Era il modello fascista. Purtroppo per ragioni che gli storici conoscono bene, la Repubblica, pur predicando l’antifascismo, ha finito per continuarlo. Mi pare che nel 2008 sarebbe ora di superarlo.
In che modo?
Introducendo, come dice la Costituzione, una vera equipollenza, anche
economica, tra gli studenti che frequentano le scuole statali e quelli che
si iscrivono alle scuole pubbliche paritarie non statali (oggi molto
penalizzati sul piano economico). Questo era il disegno costituzionale. Mi
domando perché il Corriere, che ha fatto della battaglia per la Costituzione
del 1948 un criterio culturale e civico, abbia su questo punto, come tanti
altri difensori d’ufficio della Costituzione, una programmatica amnesia.
Auspica, infatti, sulla linea del Pd del resto, la concorrenza e la
competizione solo dentro le scuole statali. Ma ha paura di affidare alle
famiglie e ai cittadini la libertà di scegliere tra percorsi educativi
organizzati dallo Stato e organizzati da enti e privati che svolgano un
ruolo pubblico, peraltro sempre riconosciuto dallo Stato. Forse perché i
cittadini sono giudicati incapaci di intendere e di volere? Perché possono
scegliere gli ospedali statali o convenzionati in cui farsi curare, ma non
le scuole in cui far crescere i figli? I figli sono forse dello Stato? Da
quando sono stati abrogati gli articoli 29 e 30 della Costituzione? In
verità, chi è contrario ad assicurare ai cittadini la libertà di scelta
educativa, è semplicemente contrario alla libertà e alla democrazia. Lo
diceva don Sturzo. E pure Einaudi. Condivido.
Davvero difendere
la libertà di educazione significa immaginare scuole su misura, ciascuna
improntata a una diversa ideologia?
L’espressione “scuola su misura” (francese école sur mesure)
fu introdotta da Claparède, nel 1920, per designare le necessità di superare
un’organizzazione scolastica rigida e uniforme, che invece di far parti
disuguali tra disuguali (nel senso di dare di più a chi ha di meno e di
adeguare i suoi metodi alle tendenze, ai bisogni, al naturale processo di
sviluppo di ciascuno) continuava a far parti uguali tra disuguali, e quindi
a creare, con la sua uniformità, disadattamento scolastico, dispersione,
rifiuto dell’apprendimento. Resto fedele a questa idea di scuola su misura,
del resto da noi introdotta con la personalizzazione dei piani di studio con
la legge n. 53/03.
Quindi non è uno
scandalo auspicare che scuole pensate appositamente per i musulmani, o per i
cattolici, seguano indicazioni e metodologie proprie?
Tutt’altro. Dire che tutti i musulmani, o tutti i cattolici, devono imparare
quanto stabilito nelle indicazioni nazionali della Repubblica allo
stesso modo e negli stessi tempi in scuole specifiche per musulmani, o per
cattolici, significa soltanto far violenza alla buon senso e
all’intelligenza dei musulmani e dei cattolici, oltre che avere una
concezione non liberale della democrazia. Diverso riaffermare il principio
che scuola e famiglia devono stimarsi a vicenda, aiutarsi, avere reciproca
fiducia per rendere produttivi gli apprendimenti degli allievi. Quindi, in
fondo, scegliersi a vicenda. Se mancano queste condizioni ci perdono,
infatti, tutti: i docenti, la famiglia, la scuola, gli studenti. La
costrizione, l’essere obbligati a qualcosa non promuove mai durevole
apprendimento. Da qui la necessità, peraltro prevista dalle nostre norme
attuali (si veda, per esempio, il Dpr. 275/99), di offrire alle famiglie
perfino all’interno della scuola statale (art. 21, co. 9 della legge 15
marzo 1997, n. 59, nonché Dpr. 275/99) una “possibile pluralità dì opzioni
metodologiche” e perfino di “progetti educativi”. Il vincolo insuperabile
per questo auspicato pluralismo nella scuola statale e tra scuole statali e
non statali è che tutte le opzioni e tutti i diversi progetti educativi che
si possono redigere rispettino i valori stabiliti nella Costituzione e
seguano le norme generali sull’istruzione dettate dalla Repubblica. A queste
condizioni non vedo nulla di male che si aprano scuole pubbliche paritarie
istituite da cattolici, musulmani, steinieriani, montessoriani, agazziani,
tutte che facciano apprendimento su misura per i rispettivi, singoli
allievi.
Ma se la scelta educativa deve essere libera, qual è il ruolo dello Stato?Secondo la Costituzione del 1948 e a maggior ragione dopo la riforma del titolo V del 2001, con l’affermazione del principio di sussidiarietà, una cosa è chiarissima: lo Stato non ha il compito di gestire direttamente le scuole. Tanto meno, come accade ora, in modo monopolistico. Le deve invece istituire e poi governare. Governare significa stabilire, sulla base dei valori costituzionali, le norme generali che esse sono obbligate a rispettare (ordinamenti, piani di studio, criteri per il reclutamento dei docenti, competenze finali che alle diverse età e nei diversi ordinamenti stabiliti, gli studenti devono raggiungere). Significa poi controllare che le istituzioni scolastiche rispettino davvero le norme generali e, in particolare, quelle relative alle competenze finali degli studenti. Tra l’uno e l’altro compito dell’attività di governo ci sta in mezzo l’attività di gestione che la Costituzione assegna all’autonomia delle istituzioni scolastiche statali e non statali.
Non tocca allo
Stato, quindi, garantire l’uniformità della programmazione didattica e
formativa?
E’ proprio sull’offerta formativa gestita in autonomia dalla singole scuole
statali e non statali che va assicurata la libertà di scelta, che non
riguarda, quindi, i contenuti stabiliti dalle norme di governo. Purtroppo,
noi siamo abituati a uno Stato che governa poco o per niente (soprattutto in
tema di controlli e verifiche) e che invece gestisce molto. Uno Stato perciò
molto intrusivo. Non a caso abbiamo la burocrazia scolastica più pletorica
del mondo. Così come una scuola che è di solito attenta alle procedure
amministrative, ma molto più disinteressata al merito dei risultati
raggiunti. In altri termini, da noi conta più andare a scuola che imparare,
rispettare pedissequamente le disposizioni ministeriali e le graduatorie
sindacali che organizzarsi in maniera libera ma efficace in vista delle
competenze finali da acquisire, obbedire al ministro e al dirigente che
assumersi la responsabilità di scelte di gestione delle cui conseguenze poi
rispondere in prima persona.
Papa Benedetto
XVI ha parlato recentemente di "emergenza educativa": condivide l'uso di
questo termine per definire lo stato dell'educazione nel nostro Paese?
Bisognerebbe essere ciechi, oppure prevenuti, per non condividere la
diagnosi di papa Benedetto XVI. Basta entrare in qualsiasi scuola o girare
per la città o andare in autobus per persuadersene. Devo dire semmai che
l’emergenza educativa, in sostanza etico-comportamentale, è anche
un’emergenza di mancata istruzione, cioè proprio di conoscenze, di logica,
di giudizio intellettuale. Abbiamo purtroppo fin troppe ricerche che
documentano questa seconda emergenza nazionale.
Nel programma del
Pdl il sostegno alla libertà di educazione è menzionato nel contesto della
seconda missione, dedicata alla famiglia, mentre il tema dell'istruzione è
affrontato nella quarta missione, riguardante i servizi al cittadino. Come
spiega questa articolazione?
Molto semplice. Per Costituzione, si deve consentire ad una famiglia che
intende far percorrere al figlio la carriera scolastica definita dalle norme
generali della Repubblica in una scuola non statale di non pagare due volte:
la prima volta con le tasse che vanno a finanziare le scuole statali e la
seconda volta con le tasse di iscrizione versate per il funzionamento delle
scuole pubbliche paritarie non statali. L’istruzione è un diritto soggettivo
di tutti i cittadini, e non devono esistere cittadini di serie b, privati di
un fondamentale diritto personale di libertà. Perché, in tema di godimento
di un diritto sociale e civile fondamentale come l’istruzione, se una
famiglia è povera, non deve avere le stesse possibilità di scelta che sono
disponibili per una ricca, che si può permettere la doppia tassazione? Il
tema dell’istruzione è affrontato poi nella quarta missione in un
prospettiva diversa, quella che riguarda l’organizzazione di un servizio che
la Repubblica deve assicurare non solo per il bene di ogni cittadino, ma
anche per il bene comune della nazione. Sono noti, del resto, i legami che
esistono tra istruzione e sviluppo sociale ed economico. Naturale che ci si
debba interessare di una riforma dell’istruzione che risolva le due
emergenze segnalate (dell’educazione e dell’istruzione): ne va del futuro
del Paese.
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