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Farc e Chavez, le relazioni pericolose
di STEFANO MAGNI

[07 mar 08] Le Farc colombiane appaiono ormai come un residuo del passato. Sono una formazione di guerriglia marxista-leninista, nate in piena Guerra Fredda, nel 1964, come braccio armato del Partito comunista locale. La loro dottrina non ha mai deviato (anche all’alba del XXI secolo) dall’ortodossia leninista: lotta di classe e dittatura del proletariato sono ancora al centro della loro predicazione. Questo residuato bellico dell’Urss si è finanziato non solo grazie agli aiuti di Cuba, ma anche grazie al narcotraffico. Dai primi anni 2000, i guerriglieri sono tornati alla ribalta a causa della loro politica di rapimenti clamorosi. Tra questi il sequestro della candidata presidenziale colombiana Ingrid Betancourt, rapita nel 2002. Da quando le Farc sono state inserite nella lista nera delle organizzazioni terroristiche, sia quella degli Usa che quella dell’Ue, la loro popolarità è crollata in tutto il mondo. Le sinistre parlamentari, che prima flirtavano con loro (nel 1997, ad esempio, il presidente della Camera Luciano Violante invitò i rappresentanti delle Farc in Parlamento), ora hanno preso nettamente le distanze. E in questi ultimi tempi sono molte le sconfitte subite dalla guerriglia marxista: in febbraio, un’indagine dell’Fbi ha portato all’arresto di 39 terroristi delle Farc in sette Paesi. Tra di essi anche il carceriere di Ingrid Betancourt, che ha rivelato le gravi condizioni di salute dell’ostaggio, sofferente di epatite e ormai sospesa tra la vita e la morte. La crisi del gruppo di guerriglia ha, indirettamente, facilitato le trattative per la liberazione dei prigionieri: le Farc, in cambio del rilascio di una quarantina di essi, chiedono la scarcerazione di 500 loro prigionieri e la creazione di una zona demilitarizzata.

I primi ostaggi ad essere lasciati liberi, in seguito alla mediazione del presidente venezuelano Hugo Chavez, sono stati Clara Rojas e Consuelo Gonzalez de Perdomo. Poi, alla fine di febbraio, sono avvenuti altri quattro rilasci: Gloria Polanco, Luis Eladio Perez, Orlando Beltran e Jorge Eduardo Gechem, tutti parlamentari colombiani che erano nelle loro mani da ben sei anni. Una volta tornati liberi, hanno potuto consegnare le lettere degli altri ostaggi alle rispettive famiglie. Ne è emerso un quadro agghiacciante: prigionieri incatenati, costretti a dure marce nella giungla, privati di qualsiasi assistenza medica e senza alcuna possibilità di avere contatti con il mondo esterno. Il rilascio degli ostaggi, che ha indotto buona parte della stampa europea a premiare troppo facilmente il “pragmatismo” dei guerriglieri e la mediazione di Hugo Chavez, è invece, come abbiamo visto, frutto di un indebolimento delle Farc. Per questo, il presidente colombiano Alvaro Uribe, che sta conducendo contro di esse una lotta senza quartiere, con il sostegno tecnologico e finanziario degli Stati Uniti, ha deciso di proseguire con la linea dura. Prima la polizia ha arrestato Heli Mejia Mendoza (nome di battaglia “Martin Sombra”), uno dei leader storici della guerriglia marxista, in attività fin dagli anni Sessanta. Poi l’esercito regolare ha sferrato il suo colpo più duro il 1 marzo: grazie alle rivelazioni di un informatore e alle intercettazioni telefoniche, l’intelligence ha individuato un centro di comando e controllo oltre il confine dell’Ecuador. Il covo è stato attaccato dall’aviazione. Quando le truppe speciali sono giunte sul posto, hanno trovato i cadaveri del numero due delle Farc, Raul Reyes, portavoce del movimento e i corpi di altri 16 comandanti della guerriglia. Ma, soprattutto, hanno trovato tre computer contenenti importantissimi documenti segreti.

A questo punto della crisi, si è inserito Hugo Chavez, il cui intervento rischia di far precipitare quella zona dell’America Latina in una guerra regionale. Il presidente venezuelano è rimasto fortemente indebolito dal referendum del 2 dicembre scorso, quello che avrebbe dovuto consacrare il suo ruolo di dittatore rivoluzionario in seguito a una drastica riforma (in senso socialista reale) della Costituzione. Fin dalle prime settimane della sua crisi politica, ha capitalizzato la sua dichiarata amicizia con le Farc, ordinando trasferimenti di truppe ai confini con la Colombia e inasprendo i toni con il Paese vicino. Come ogni regime in crisi, anche quello bolivarista di Chavez mira a sfogare all’estero una crisi interna, per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica e rafforzare il controllo sull’esercito. In questa situazione, lo sconfinamento delle forze armate colombiane nel territorio dell’Ecuador, Paese governato da Rafael Correa, un populista di estrema sinistra omologo di Chavez, ha fornito il pretesto per un’ulteriore radicalizzazione della politica venezuelana. Il Venezuela ha reagito per primo, schierando nuove truppe al confine con la Colombia e ponendo l’aviazione in stato di allerta. Rafael Correa ha subito rotto le relazioni diplomatiche con la Colombia e schierato truppe al confine, dichiaratamente per impedire nuovi sconfinamenti del vicino. Chavez, infine, ha rotto a sua volta le relazioni diplomatiche con la Colombia e ha ordinato la chiusura della frontiera comune. Di fronte a questa escalation improvvisa, i governi dell’Unione Europea e dell’America Latina hanno dimostrato di accusare più l’imprudenza di Alvaro Uribe che non una reazione violenta di Correa e Chavez che rivela tutta la loro connivenza con un movimento terrorista. I commenti più duri sono giunti dalla Francia, dove il ministro degli Esteri Bernard Kouchner ha rimproverato il presidente colombiano di aver mandato a monte il negoziato per la liberazione di Ingrid Betancourt: Raul Reyes, a quanto risulta, prima di essere ucciso, stava personalmente trattando per il suo rilascio. Solo da Washington, George W. Bush ha espresso solidarietà nei confronti della Colombia e della sua guerra contro il terrorismo. E che terrorismo!

Il capo della polizia colombiana Oscar Naranjo, il 3 marzo, in una conferenza stampa aperta a giornalisti di tutto il mondo, ha mostrato i documenti sequestrati nel covo di Reyes in seguito al raid di due giorni prima. La realtà che emerge da essi è inquietante. Ci sono le prove dei finanziamenti di Chavez alle Farc per 300 milioni di dollari, oltre all’offerta economica fatta al gruppo terrorista di compartecipare alla proprietà dell’industria petrolifera venezuelana. Ci sono i filmati degli incontri dei leader terroristi con esponenti del governo dell’Ecuador e del Venezuela. Ci sono le prove dei contatti e delle connivenze di Rafael Correa e di Hugo Chavez con il movimento terrorista. Oltre a una serie di documenti riguardanti un immenso traffico sotterraneo, non solo di droga, ma anche di uranio. I terroristi delle Farc, infatti, volevano dotarsi di una bomba sporca (radioattiva) e potevano mirare alla realizzazione di atti di mega-terrorismo. Quantomeno curiose anche le scoperte riguardo le preferenze politiche internazionali della formazione marxista: nei documenti mostrati al pubblico dalle autorità colombiane si trovano lodi al candidato democratico Barack Obama, un possibile e prezioso interlocutore, perché prende in considerazione l’idea di creare una zona demilitarizzata ed è contrario ai metodi attuali di lotta al narcotraffico condotta dall’amministrazione Bush. I “diplomatici” delle Farc, inoltre, indicano quali sono i loro governi amici: oltre alla Repubblica Popolare Cinese, anche la Corea del Nord e l’Iran. In poche parole, che i governi europei lo vogliano vedere o meno, i colombiani hanno scoperto l’Asse del Male, ben nascosto nella giungla dell’Ecuador.



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