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Congo, la grande diga della discordia
di BRUNO PAMPALONI

[12 mag 08] Si è tenuto di recente a Londra il forum organizzato dal World Energy Council per rendere possibile la costruzione di un gigantesco deposito d’acqua e di un’ enorme centrale idroelettrica capace di fornire energia a 500 milioni di persone (la “Grand Inga”, nell’ovest della Repubblica democratica del Congo). Il forum (“How to make the Grand Inga hydropower project happen for Africa”) ha visto infatti la partecipazione di importanti banche (da Citi Group a Bank of Tokyo-Mitsubishi, dalla World Bank alla European Investment Bank), delle maggiori aziende energetiche (da E.On a Electricitè de France) oltre a imprese di costruzione (inclusi i responsabili cinesi della società che ha costruito la diga “delle Tre Gole”) e ai rappresentanti di molti Stati occidentali o africani (dalla Nigeria alla Namibia, dal Sud Africa alla Botswana). Per trasformare in realtà il progetto in maniera ecosostenibile servono circa 80 miliardi di dollari.

A Londra il gotha istituzionale, del mondo degli affari e delle banche ha discusso sui requisiti finanziari e sui piani di fattibilità propedeutici agli eventuali e necessari stanziamenti. Nel 2007 la African Development Bank aveva già destinato 14 milioni di dollari per un nuovo studio del progetto. Le parole d’ordine del forum sono: risolvere molti dei problemi energetici del continente senza cedere all’ennesima forma di colonialismo economico. Lo sfruttamento indiscriminato della regione da parte dei potenti della Terra è quanto temuto, invece, da diverse organizzazione ambientaliste, che vedono nella costruzione di Grand Inga solo una colossale opportunità concessa alle compagnie internazionali per fare affari sulla pelle delle popolazioni locali e ad alcuni Stati africani per privilegiare - a scapito del benessere generale – gli investimenti delle varie industrie estrattive nazionali.

Il progetto prevede infatti che, a partire da Grand Inga, alcuni “corridoi” trasportino l’energia prodotta verso Nigeria, Sudafrica e Egitto, da dove essa verrebbe smistata in direzione dell’Europa. Il segretario generale del Wec, Gerald Doucet, ha provato a rassicurare gli ecologisti affermando che “la gigantesca questione sociale legata al progetto della Grand Inga è tra i principali punti nell’agenda dei partecipanti all’incontro” e che “il Congo dovrà beneficiarne, poiché se venisse scavalcato l’intero progetto fallirebbe”. Tuttavia a parere degli ambientalisti Grand Inga non farà che amplificare i problemi tuttora esistenti nella regione: a loro parere solo il sei per cento degli abitanti può usufruire dell’energia prodotta dai già attivi bacini Inga-1 e Inga-2 (e destinata alle ricche miniere del Katanga).

I termini della questione restano in fondo sempre gli stessi quando si guarda al preteso progresso sociale e civile degli esclusi: il loro affrancamento da condizioni di indigenza può essere raggiunto senza alimentare i guadagni economici degli attori che ne determinano le condizioni di partenza? Provare a risolvere un problema anche rischiando di favorire gli interessi di una minoranza privilegiata (che in una società regolata dai rapporti economici esisterà sempre) e - come in questo caso - azzardando soluzioni ecosostenibili ma non sicure in assoluto o non far nulla, mantenendo dunque lo status quo in attesa di future e migliori soluzioni sempre fattibili ma spesso in ritardo? Eppure era stato proprio l’ultimo vertice dell’Unione Africana (UA) a indicare nella costruzione della diga un passo fondamentale per la nascita, il consolidamento e il necessario progresso di un’industria regionale il più possibile autosufficiente. Va peraltro aggiunto che gli ecologisti e i difensori dei diritti umani “duri e puri” liquidano con una scrollata di spalle il pronunciamento della UA, che considerano il portavoce dei governi occidentali o di quello cinese.

Un dato è certo: se realizzata (potrebbe essere pronta tra il 2022 e il 2025), Grand Inga diventerà la più grande diga del mondo, capace di fornire 39mila megawatt complessivi (più del doppio della corrente elettrica prodotta oggi dall’immensa diga delle “Tre Gole”, in Cina). Il progetto era stato pensato per la prima volta negli anni Sessanta, e infine ripresentato nella sua completezza dopo la fine della guerra che, tra il 1998 e il 2003, vide la morte di milioni di congolesi. Come detto, sul fiume Congo, sono già attivi i bacini Inga 1 e Inga 2 s (1775 megawatt complessivi). Un terzo (da 4320 megawatt) è tuttora in fase di sviluppo. Le previsioni più ottimistiche vedono nella costruzione dell’enorme bacino la possibile svolta per lo sviluppo della depressa economia africana grazie alla conseguente fornitura di energia all’intero continente e ai proventi di quella esportata.


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