Di destra o di sinistra, l’importante è dire qualcosa
di Domenico Mennitti


Non credo che oggi abbia senso “dire qualcosa di destra”; si angoscino pure quanti farebbero carte false per dire “qualcosa di sinistra”, non ci riescono e si dannano l’anima perché non ne individuano la ragione. La verità è che continuare a pensare la politica in termini identitari significa non aver capito la rivoluzione culturale in atto. Non ha davvero torto Giorgio Gaber: “Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra?”. Eppure si continua a ragionare come se esistessero oggettivamente una destra e una sinistra in sé, come fossero due ontologie e due antropologie distinte, due contrapposti campi di valore. E così capita di leggere Goffredo Fofi affermare che “la sinistra avrebbe qualche dignità in più della destra perché preoccupata, talora e tuttora, in molte sue frange, dei bisogni di chi non ha diritti e di chi è escluso, i cui diritti sono conculcati da quelli di chi ne ha troppi”. Ragion per cui l’ultimo film di Nanni Moretti non direbbe “alcunché di sinistra” (come se un film - in quanto tale - dovesse essere o di destra o di sinistra).

L’errore speculare e funzionale a questa impostazione sarebbe quello di prospettare una destra e un popolo di destra definiti attraverso una precisa identità culturale, antropologica e valoriale. Imboccare questa strada equivarrebbe a subire il gioco imposto dalla sinistra e dalla sua, ormai implosa, egemonia culturale. E’ infatti vero che fino all’altro ieri tutto in Italia, a cominciare dalla destra e dal centro, si definiva in rapporto alla sinistra e finiva per essere automaticamente a destra quanto veniva rifiutato dalla sinistra. Le recenti vicende politiche ci invitano ad un atteggiamento diverso, lontano da revanchismi e da forme più o meno sublimate di rancore culturale. La sconfitta culturale della sinistra, avviatasi con la caduta del Muro di Berlino, non ha infatti imposto il rovesciamento da sinistra a destra, ha però aperto il campo alla libertà e al mercato delle idee. E nel mare aperto nessuno dispone più di rendite di posizione o di egemonie di sorta. Le idee hanno forza se riescono a tradursi in realtà. Nessuna identità, nessuna parte può oggi ergersi a interprete della volontà del tutto. E la politica torna alla sua ragione sociale: elaborare mezzi, opinioni, contributi teorici, progetti, utili - nel loro insieme - a realizzare obiettivi concreti.

Non esiste una “cultura politica” valida nel Settecento che possa (sia pure corretta e aggiornata) essere valida ancora oggi, come non può esistere un conflitto unitario tra soggetti contrapposti che proseguono nei secoli la loro contrapposizione metafisica. In altre parole: la storia è storicisticamente il regno della libertà, e i conflitti si determinano, esplodono, si ridefiniscono in situazioni sempre diverse e inedite. Non esistono una destra e una sinistra che dal Settecento ad oggi sono state sempre le stesse e che proseguono ininterrottamente un lungo duello iniziatosi con la Rivoluzione francese e via via incarnatosi in soggetti diversi: da una parte i valori della tradizione, dello spirito, della patria, dall’altra il progresso, l’emancipazione, l’universalismo. E’ questo uno schema che ha fatto il suo tempo e che solo ad un attento esame storico rivela tutta la sua inconsistenza: vedremmo che ciò che era sinistra in un contesto diventa destra in un altro. Dove dovremmo collocare, in questo scenario, i totalitarismi, dove il liberalismo, dove il nazionalismo? E qual è la destra tra Churchill, De Gaulle, Giolitti, Peron, i fascismi, l’anarco-capitalismo?

Insomma, oggi gli schieramenti politici devono differenziarsi non più in base a categorie astratte, ma a politiche concrete e a scenari concreti. Dobbiamo, in altre parole, passare dalla fase della politica basata sul concetto di “identità” a quella costruita sul “progetto”. L’esigenza non è di rassicurarsi all’interno di un “senso di appartenenza” ma di costruire sintesi politico-culturali in grado di offrire soluzione ai problemi delle società moderne. Se davvero crediamo d’essere di fronte a una svolta epocale, ciò significa che occorre ricercare risposte anch’esse nuove e originali. Non basta più considerarsi depositari di una “tradizione”, di una identità, ma è il momento di diventare “protagonisti” della nuova politica. Non è un caso che molti degli uomini politici e degli intellettuali oggi schierati con la Casa delle Libertà provengano da un percorso intellettuale iniziato a sinistra e interrotto una volta acquisita la coscienza del fallimento. Non si tratta di festeggiare per un imminente affermazione dei valori, delle pratiche, dei miti, degli autori tradizionalmente presentati come “di destra”. Non è in gioco l’identità della destra, ma quella di una nuova sintesi per governare il ventunesimo secolo.

29 giugno 2001

dmennitti@ideazione.com


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