“Dal fascismo al Pci il filo rosso di un’egemonia culturale”
intervista a Pierluigi Battista di Cristiana Vivenzio

Come si sono legati tra loro universo culturale, tendenze ideologiche e mondo politico negli ultimi quarant’anni? Ricostruendo un percorso reale che parte dall’inizio degli anni Sessanta, Pierluigi Battista, giornalista e saggista, editorialista della Stampa, nel suo ultimo libro “Il partito degli intellettuali” traccia i contorni del rapporto anomalo che in Italia ha legato gli intellettuali alla politica. Partendo dalla riflessione su temi noti ma ancor oggi di scottante interesse, questo libro riapre la strada ad una serie di problematiche in merito al ruolo svolto dagli uomini della cultura in Italia e soprattutto richiama ad una riflessione ampia e approfondita sul ruolo prossimo futuro dell’intellighenzia.

Il monopolio culturale della sinistra: una delle tante anomalie della vita politica italiana?

Non parlerei di monopolio culturale quanto piuttosto di egemonia. Il termine monopolio prefigura una sorta di irregimentazione. Del resto, il problema di un’egemonia culturale in Italia non è di natura quantitativa, non dipende cioè dal fatto che la maggior parte degli scrittori, degli intellettuali, degli uomini di teatro, dei registi mostrano un certo tipo di appartenenza politica. Il merito della sinistra italiana, e del Pci in particolare, è stato quello di dare il senso di una missione agli intellettuali italiani e al loro ruolo all’interno della società: infondendo l’idea che la cultura fosse un elemento essenziale della battaglia politica, che facesse parte integrante dello scontro per le civiltà. La cultura continuava ad essere vissuta e percepita come prosecuzione e prolungamento della lotta politica e la percezione generale era quella per cui fare un film, scrivere un libro, più in generale produrre cultura conferisse un ruolo meritorio. Poiché alimentava l’assoluta convinzione di possedere il monopolio di ciò che è giusto.

Questo tipo di concezione egemonica della cultura può rintracciarsi anche in altre realtà europee?

Non direi che questa sia un’anomalia esclusivamente italiana. La Francia ha presentato un modello analogo. Ma non è un caso che Italia e Francia abbiano avuto i partiti comunisti più forti d’Europa. 

Quindi la presenza di un forte partito comunista, in Italia come in Francia, è stato elemento determinante nel produrre questo tipo di rapporto tra cultura e politica.

La forza dell’egemonia intellettuale di sinistra in Italia non è monocausale. Può essere rintracciata, naturalmente, in più di un fattore. In primo luogo questo ruolo dell’intellettuale militante e interventista è proprio di una certa mitologia già propria della cultura italiana a partire dagli inizi del Novecento: pensiamo a intellettuali come Papini, Prezzolini, Salvemini. Ma l’elemento determinante nella costruzione di un rapporto imprescindibile tra mondo culturale e mondo politico è stato istituito nel periodo fascista. Si è sempre fatto emergere il lato repressivo del fascismo nei confronti della cultura. Eppure la cultura è stata l’unico ambito, seppure attraverso manifestazioni allusive o dissimulate, in cui si poteva, anche in tempo di regime, dar vita ed espressione alle rivalità ideologiche. Nel passaggio dal fascismo alla democrazia, ad emergere sono stati gli elementi di affinità, che hanno costituito la linea di continuità tra l’appartenenza pre (la fascista) e quella post (rappresentata dal comunismo). Finita la guerra e liquidato il fascismo gli intellettuali italiani scelsero, liberamente e con entusiasmo, di trasmigrare a schiere compatte nei luoghi ove era possibile proseguire senza frustrazioni l’opera di fiancheggiamento politico rodata e perfezionata nel passato regime.

Ma esistevano reali alternative a quella visione monotematica della cultura? E soprattutto le altre forze politiche italiane erano in grado di esprimere modelli alternativi?

La sinistra ha schiantato tutte le appartenenze ideologiche alternative: sia quella liberal-conservatrice sia quella cattolica. L’ideologia comunista, o filo-comunista, come quella azionista, si è fatta promotrice del monopolio dell’etica. Questo ha prodotto un intollerantismo ideologico che ha portato all’automatica scomunica nei confronti di tutti coloro che manifestavano una qualsiasi forma di dissenso. Certamente la controparte ha dimostrato un’assoluta incapacità propositiva. I cattolici troppo attenti probabilmente ad un diverso modo di concepire la politica, legata al concreto esercizio del potere. I liberali per una tendenza snobistica ed elitaria nel concepire la cultura. Fatto sta che la storia è una storia di attacchi violentissimi. Da Sciascia a Fellini, da Montale a De Felice: tutti questi grandi intellettuali hanno assaggiato il bastone della scomunica.

15 giugno 2001

c.vivenzio@libero.it

Pierluigi Battista, “Il partito degli intellettuali”, Laterza, Bari-Roma 2001, 147 pagine, lire 18.000.



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