Editoriale 
    PIU' AVANTI DEGLI ALTRI
    
     
    di Domenico Mennitti
    E’ augurabile che
    ora, dentro il Polo ed in particolare dentro Forza Italia, nessuno più
    lanci patetici appelli al recupero dello “spirito del ’94”. In questa
    primavera del ’99, che si è appena conclusa, si sono succeduti eventi di
    straordinaria portata, che non cancellano il ricordo del folgorante avvio
    della nuova fase, ma ad essa attribuiscono elementi aggiuntivi che assestano
    il quadro politico e gli conferiscono un equilibrio più stabile e definito.
    Nell’arco di pochi mesi la politica ha subito scossoni che l’hanno
    rimessa in movimento. Bisogna risalire alla crisi di governo, che è stato
    il momento in cui più si sono evidenziate la pericolosità del deficit di
    democrazia e la crisi del rapporto fiduciario fra eletto ed elettore. E’
    apparso chiaro a tutti, infatti, che l’Italia era diventata terreno di
    scontri senza regole, alla mercè di protagonisti cinici, scaltri nel
    capovolgere con congiure di Palazzo le libere scelte degli elettori.
    Scalfaro può essere considerato a giusta ragione il padre del ribaltone.
    L’aveva inventato per rovesciare il successo di Berlusconi, ma di fatto lo
    aveva introdotto nella prassi di una democrazia ancora condizionata dalle
    vecchie pratiche consociative e proporzionali.
    
     
    La incapacità di
    portare a compimento il processo delle riforme, la degenerazione della
    organizzazione della politica verso inquietanti manifestazioni di
    autoritarismo incontrollato (su queste stesse pagine le abbiamo definite di
    “partitocrazia senza partiti”), la crisi della rappresentanza, la
    polverizzazione del quadro politico, la ventata di trasformismo che ha reso
    senza efficacia la partecipazione del cittadino alla competizione
    elettorale, sono tutti elementi che hanno esasperato la delusione degli
    italiani, facendocela riscontare nel massiccio ricorso all’astensionismo.
    Poi è sopraggiunta la guerra nei territori della ex Jugoslavia, un evento
    che ha determinato intese trasversali, che hanno a loro volta inserito
    elementi di rottura all’interno degli schieramenti tradizionali. E ancora,
    in rapida successione, il referendum per modificare il sistema di elezione
    dei deputati, la scelta del nuovo presidente della Repubblica, le
    consultazioni (europee, regionali, provinciali, comunali), un test completo
    per poter trarre deduzioni non arbitrarie. I risultati di questi tre
    passaggi hanno aperto uno squarcio nello statico panorama politico,
    lasciando intravedere interessanti percorsi di rinnovamento. La prima
    constatazione è che gli italiani chiedono al personale politico di
    rispettare il mandato che ad esso viene conferito. Il mancato raggiungimento
    del quorum prescritto per la validità del referendum abrogativo della quota
    proporzionale per la elezione dei deputati è certamente ascrivibile ad una
    serie di ostacoli contingenti, ma testimonia anche la reticenza degli
    elettori a sostituirsi agli eletti. La classe dirigente faccia il suo dovere
    e approvi le riforme nelle sedi istituzionali proprie. Il referendum è
    l’arma che imbracciano gli elettori quando il Parlamento non riesce a
    svolgere correntemente l’attività legislativa. E’ un gesto di protesta,
    che perde forza e significato se a promuoverlo sono i destinatari del
    malcontento. La morale da trarre è che non sono più tempi di scorciatoie e
    le forze politiche debbono attrezzarsi, anche sul piano culturale, per
    organizzare la nuova forma dello Stato.
    
     
    Le elezioni di giugno
    hanno evidenziato la diversa condizione delle forze politiche in campo e la
    disparità dello stato di salute è rilevabile su entrambi i fronti. Le
    analisi politiche che presentiamo in questo numero sono focalizzate sulle
    formazioni più rappresentative del Polo, che complessivamente è uscito
    bene dalle consultazioni, con un assestamento interno che attribuisce a
    Forza Italia il ruolo più importante e significativo. La maggiore
    inquietudine però serpeggia a sinistra, dove il mondo che fa riferimento al
    vecchio Partito comunista è chiamato a fare i conti con il suo passato,
    operazione che era riuscito ad eludere giovandosi dell’irruzione
    giudiziaria di Tangentopoli. Oltre la guerra dei numeri, che vorrebbero
    ancora in piedi una maggioranza di governo ridotta però in frantumi, la
    verità è che i democratici di sinistra stanno gradualmente retrocedendo
    verso un ruolo marginale. La vicenda di Bologna, che analizziamo a parte, dà
    la sensazione della fine di un mito, ma pure della chiusura di un’epoca
    che ha perso e  non potrà mai
    più recuperare le sue connotazioni politiche, economiche e sociali. Qui
    vale obiettivamente rilevare il salto di qualità compiuto da Forza Italia,
    che sembra aver superato di slancio il tempo dell’apprendistato per
    proporsi come modello nuovo di organizzazione e di comunicazione. Le
    polemiche sulle modalità della propaganda contano ancora qualche
    trinariciuto sostenitore che spera di tutelarsi proponendo di restringere
    sempre più gli spazi dell’informazione politica nel corso delle campagne
    elettorali; ma già queste isterie sono superate da più riflessive
    considerazioni che stanno coinvolgendo anche i più alti livelli culturali
    della sinistra. Vale citare la dichiarazione resa dal direttore della
    Fondazione Gramsci, Beppe Vacca, sfortunato candidato a sindaco di Bari, il
    quale, dopo aver svolto una analisi critica sulle condizioni non solo
    organizzative del suo partito, ha esplicitamente sostenuto che «Forza
    Italia è l’unico soggetto politico nuovo».
    
     
    D’altronde la crisi
    dei partiti che derivano da forti riferimenti ideologici si riflette nella
    incapacità di partecipare ad un sistema politico che si caratterizza per la
    competenza e la trasparenza delle gestioni. Si coglie soprattutto a
    sinistra, ma in una certa misura anche in alcune frange della destra, la
    continua ricerca della identità con la preoccupazione di aver perso
    l’antica virtù, avendo in realtà smarrito il riferimento a quegli schemi
    nei quali la verità di una parte assumeva disinvoltamente il valore di
    verità assoluta. Non era così, ma il meccanismo funzionava per garantire
    quanti non sapevano misurarsi con la complessità dei problemi e presumevano
    di poter governare rinchiusi nelle torri dei propri partiti. Nello sforzo di
    modernizzazione del Paese e del suo sistema politico, Berlusconi ha mostrato
    d’essere molto più avanti degli altri in quanto interprete di quel
    delicato passaggio al quale la politica è obbligata, e descritto da Barbara
    Spinelli come il salto «dall’Etica delle convinzioni a quella della
    responsabilità». Non sarà ricordata, questa del ’99, come una primavera
    di grandi sconvolgimenti, ma certo merita d’essere considerata la stagione
    nella quale la politica si è rimessa a cercare – e in una certa misura
    anche a praticare – i percorsi del cambiamento. Per noi che continuiamo
    ostinatamente a proporli, esibendoli come una bandiera sotto la testata
    della rivista, averli ritrovati nell’iniziativa politica costituisce
    ragione di ulteriore impegno.
    
     
     
    
    Domenico
    Mennitti
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