La sconfitta bruciante merita risposte forti
di Pierluigi Mennitti
[04 apr 05]

Nel 2000 D’Alema perse Regionali e governo per essersi buttato a capofitto nella campagna elettorale, cercando quella legittimazione popolare che gli era mancata. Nel 2005 Berlusconi ha perso le Regionali (e rischia di perdere il governo) per aver rifiutato di parteciparvi. L’illusione di tenersi fuori dalla tempesta elettorale facendo finta che la questione non lo riguardasse è svanita un minuto dopo che gli exit-poll hanno snocciolato previsioni tanto sorprendenti quanto catastrofiche. Ed è naufragata quando gli exit poll si sono trasformati in proiezioni, quindi in dati reali, rendendo via via sempre meno credibile la linea di difesa approntata dai rappresentanti di Forza Italia: quella di ridimensionare la sconfitta in chiave locale.

La sconfitta, per le dimensioni che ha assunto in temini quantitativi (i voti) e qualitativi (le Regioni passate sotto il controllo del centrosinistra), assume rilievo politico nazionale, e non può essere imputata esclusivamente ai singoli governatori regionali, che pure avranno le loro responsabilità, e neppure alla concorrenza di Alessandra Mussolini in alcune regioni, Lazio in testa: a ribaltare il risultato non sarebbero bastati neppure i suoi voti. E proprio la sconfitta di Francesco Storace nel Lazio e ancor più di Raffaele Fitto in Puglia segna la rottura della linea Maginot del Polo: entrambi avevano ben governato, realizzando anche una serie di riforme difficili e utili, che tuttavia non hanno garantito loro la rielezione. In queste due regioni, la sconfitta è stata più bruciante anche perché toglie (temporaneamente) dalla scena esponenti che rappresentano quanto di meglio il Polo ha saputo creare come classe dirigente politico-amministrativa nei suoi dieci anni di vita.

Ci sono molte ragioni che hanno determinato questo risultato e alcune di esse sono politiche anche in senso organizzativo. Se si guarda alla vittoria del centrosinistra (sorprendente nelle regioni tradizionalmente moderate, dilagante e con percentuali “bulgare” nelle roccaforti rosse) non si può non valutare la capacità espressa dai candidati, dalle liste e dalla coalizione dell’Unione in campagna elettorale. Marrazzo ha recuperato 12 punti di svantaggio rispetto a Storace. Vendola ne ha recuperati almeno altrettanti. Nelle regioni rosse i candidati hanno abbondantemente superato il 60 per cento. Campania e Calabria sembrano entrate a pieno titolo nel novero delle roccaforti rosse. La verità è che la Casa delle Libertà ha trasferito sul territorio la propria disgregazione politica e i limiti strutturali dei partiti che la compongono. Il centrodestra non ha fatto campagna elettorale come coalizione: è stata una campagna di singoli candidati, gli unici rimasti a galleggiare senza rete nel deserto dei partiti.

Il dato delle liste, che segnala una forte flessione di Forza Italia, evidenzia la crisi dell’elemento di coagulo della coalizione: il pilastro, la cerniera, il partito del leader. Quando un anno fa valutammo con un numero del bimestrale Ideazione l’appannamento della leadership berlusconiana, mettendola in relazione anche con un cambiamento della struttura sociale dell’Italia, evidenziavamo come il paese del 1994 (che si era ricompattato per l’ultima volta nel 2001) non esistesse più. E’ cambiato il Nord, è cambiato anche il Sud: l’Italia è un altro paese e l’impressione è che Berlusconi non sia riuscito ad accompagnarlo nelle trasformazioni che ha vissuto, neppure in quelle che stanno cambiando, nei valori e nei costumi, la sua base elettorale. Ma questa è analisi che nei prossimi giorni dovrà essere fatta al di fuori di speculazioni elettorali. Il centrodestra ha bisogno di compattarsi per affrontare una nuova e lunga campagna nazionale contro corrente: deve recuperare uno svantaggio che oggi è grande e che tuttavia non deve pensare non possa essere colmato. Molto dipenderà da come i leader reagiranno alla sconfitta regionale. In politica nulla deve esser dato per scontato.

04 aprile 2005

pmennitti@ideazione.com

 

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