26  giu  07 - Anp, se perdere Gaza si rivela la mossa vincente di Alessandro Marrone 

 

 

 

 

Rafforzare Fatah, la nuova strategia di Usa e Israele
di Alessandro Marrone
[25 lug 07]


Il colpo di Stato di Hamas a Gaza ha cambiato radicalmente lo scenario israelo-palestinese e Israele e Stati Uniti stanno adattando le proprie strategie nella regione scommettendo tutto su Abu Mazen e la Cisgiordania. Oggi Hamas governa la Striscia, dove gli uomini di Fatah sono stati uccisi o messi in fuga. Il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ha invece nominato un governo monocolore di Fatah che esercita l’autorità sulla Cisgiordiania, dove però i miliziani di Hamas mantengono una certa presenza e capacità di azione. Intanto il parlamento palestinese è bloccato: Hamas detiene 74 seggi, ma essendo 39 dei suoi deputati nelle carceri israeliane i 45 eletti di Fatah avrebbero la maggioranza, e perciò i superstiti di Hamas boicottano le sedute per far mancare il quorum necessario alle votazioni. Tale stallo permette di fatto ad Abu Mazen di mantenere in carica un esecutivo che non ha ricevuto la fiducia del Parlamento e del popolo palestinese, finché non si scioglierà il nodo di eventuali elezioni anticipate. In tale situazione Israele ha colto al balzo l’occasione per applicare fino in fondo la sua strategia di isolamento di Hamas, considerato da Tel Aviv un movimento terrorista col quale non è possibile trattare, sostenendo invece in maniera davvero eccezionale e inusuale l’Anp di Abu Mazen.

Gli israeliani considerano ormai la Palestina divisa in Hamastan e Fatahland e trattano in modo ben diverso i due territori. Mentre Gaza è tenuta sotto pressione dall’esercito e dai servizi segreti israeliani per bloccare tanto le incursioni di Hamas quanto i rifornimenti verso la Striscia, Olmert ha rilasciato 250 miliziani palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, la stragrande maggioranza dei quali appartenenti a Fatah, alcuni a formazioni nazionaliste minori e nessuno ad Hamas. In seguito, come riporta l’International Herald Tribune del 16 luglio, “per la prima volta Israele ha deciso di togliere dalla sua lista di ricercati 178 militanti di Fatah (…) ed ha dato un permesso eccezionale a diversi esiliati dell’Olp di partecipare ad una riunione a Ramallah”. L’importanza del gesto è testimoniata dalla presenza tra i 178 “graziati” di personaggi del calibro di Zacaria Zubeidah, leader delle Brigate Al Aqsa a Jenin che gli israeliani hanno cercato più volte di ammazzare prima di decidere che Hamas per loro rappresenta un pericolo maggiore degli elementi più duri di Fatah. Nell’ennesima applicazione della vecchia massima “il nemico del mio nemico è mio amico”, i pragmatici israeliani stanno dunque rinforzando i ranghi di Fatah, duramente provati dagli attacchi di Hamas. In cambio Zubeidah ha accordato una tregua ad Israele, per partecipare politicamente all’azione di Fatah. In sintonia con Tel Aviv si sono mossi gli Stati Uniti, che il giorno successivo all’annuncio di Olmert hanno stanziato 190 milioni di dollari di nuovi aiuti per l’Anp. Contestualmente Bush ha rilanciato una nuova conferenza internazionale di pace per il Medio Oriente, cui dovrebbero partecipare i palestinesi e i paesi arabi che hanno riconosciuto i precedenti accordi di pace con Israele.

L’efficacia di tale strategia israelo-americana è ancora tutta da dimostrare. Da un lato è certo che la situazione economica e sociale a Gaza sta peggiorando drammaticamente. Il blocco dei principali valichi tra la Striscia e Israele, a partire da quello di Karni, impedisce l’import-export da cui è profondamente dipendente le debole economia palestinese: così le produzioni di vegetali e fiori destinate al mercato israeliano marciscono invendute, e l’80 per cento dei lavoratori del settore privato è rimasto disoccupato nell’ultimo mese. L’agenzia dell’Onu che si occupa dell’assistenza ai rifugiati a Gaza denuncia l’esaurimento di medicinali ed altri beni di prima necessità, e ha chiesto ad Israele di riaprire il valico di Karni chiuso dal 12 giugno. Ma per attivare una dogana occorre la collaborazione tra le autorità di entrambi i paesi confinanti e Tel Aviv non si fida di chi governa ora la Striscia, perciò le vie di comunicazione restano chiuse. D’altro canto Fatah non ha dimostrato finora la capacità e la forza necessarie per reggere da sola un così difficile processo di state-building in Palestina: come nota un commento dell’International Herald Tribune del 18 luglio, “Fatah non è certo senza colpe ed è per questo che i palestinesi gli hanno votato contro, e da allora Fatah ha fatto davvero molto poco per riformarsi”.

Di certo il partito di Arafat si è dimostrato corrotto e inefficiente nella gestione dell’Anp, e tuttora non ha una piattaforma politica chiara e una forte coesione interna come i rivali di Hamas. Per sostenere Abu Mazen, Bush ha recentemente affermato che ora spetta ai palestinesi scegliere tra gli estremisti di Hamas e i moderati di Fatah ma, continua l’Herald Tribune, “dopotutto i palestinesi hanno scelto Hamas nel 2006 per governarli, e molti di loro credono che il boicottaggio guidato dagli Usa in realtà non gli abbia dato una reale possibilità di governo”. Ritorna il paradosso di fondo con il quale l’Occidente trova difficile misurarsi: cosa fare quando elezioni democratiche sono vinte da forze politiche che vogliono sostituire la democrazia con una dittatura, laica o religiosa che sia? Non ha tutti i torti D’Alema quando ricorda che “Hamas è una forza reale che rappresenta tanta parte del popolo palestinese. Si è resa protagonista di atti terroristici, ma è anche un movimento popolare e per l'Occidente non riconoscere un governo eletto democraticamente non è una straordinaria lezione di democrazia”. Tuttavia una posizione di questo genere verso i partiti anti-democratici ha fatto tanti danni in passato, e rischia di farne anche nella situazione attuale. È facile ricordare che anche fascismo e nazismo hanno democraticamente vinto le elezioni in Italia e Germania, e che l’appeasement del 1938 a Monaco ha solo rafforzato Hitler nella preparazione della Seconda Guerra Mondiale, che comunque è avvenuta.

È ancor più importante ricordare che mentre nell’ultimo anno l’Europa discuteva se riconoscere o no il governo espressione di Hamas, quello stesso governo e quello stesso partito che avevano democraticamente vinto le elezioni ammazzavano a sangue freddo funzionari, deputati e ufficiali di Fatah, e accumulavano armi per il golpe di Gaza. Golpe durante il quale i miliziani di Hamas non hanno avuto nessuna pietà né per i poliziotti dell’Anp né per i civili, uccisi a colpi di kalashnikov, oppure gambizzati, o ancora buttati dal quinto piano dei palazzi come il cuoco di Abu Mazen. Quest’ultimo, poi, è più volte stato oggetto di attentati da parte di quella stessa Hamas che D’Alema gli chiede di far sedere al suo fianco. Come ci si può fidare ancora di Hamas dopo la guerra civile che ha scatenato a Gaza, armata e finanziata dall’Iran di Ahmadinejad? Come si possono dare aiuti economici alla striscia sapendo che andranno a finanziare la costruzione di missili qassam e l’indottrinamento anti-occidentale nelle scuole religiose? In tale difficile situazione sostenere una Anp affetta da inefficienza e corruzione premendo perché tenti di riformarsi e di costruire uno Stato palestinese decente, pacifico e moderato, potrebbe rivelarsi il male minore. De Gasperi, nell’Italia del 1948, rispondeva a chi lo criticava per i suoi alleati nella lotta contro un Pci che poteva vincere le elezioni democratiche per instaurare un regime non democratico, che “ognuno costruisce con i mattoni che ha”. E purtroppo oggi sono questi i mattoni che si trovano in Medio Oriente.

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