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Vince Erdogan, la Turchia non torna indietro
di Domenico Naso
[23 lug 07]


Forse meno eclatante del previsto ma prevedibile. È questo il primo commento naturale al risultato elettorale turco. Gli islamisti moderati del premier Tayyp Erdogan (Akp) hanno ottenuto il 46,58 per cento dei voti e 343 seggi, tenendo a debita distanza gli altri due unici movimenti riusciti a superare la soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale di Ankara. Il Chp (partito laico di sinistra) ha ottenuto il 20,82 per cento mentre i lupi grigi del Mhp hanno raddoppiato i voti della scorsa consultazione arrivando al 14,26 per cento. Una vittoria annunciata, dunque, ma non plebiscitaria. Il mancato raggiungimento della maggioranza dei due terzi non permetterà all’Akp di eleggere agevolmente il nuovo presidente della Repubblica.

Proprio la scelta del nuovo capo dello Stato era stata la scintilla di una crisi poltico-istituzionale tesa e di difficile soluzione. Erdogan aveva candidato il proprio ministro Gul, provocando le ire della composita opposizione di sinistra e di destra, preoccupata di mantenere intatta l’impostazione laica della Turchia kemalista. Il successivo “avviso” delle Forze Armate, da sempre garanti (un po’ ingombranti) della laicità nazionale, aveva spinto Erdogan a ricorrere all’elezioni come ulteriore prova di legittimità del suo governo e della sua compagine politica. La risposta dei turchi è stata netta: si fidano di un governo che negli ultimi cinque anni ha portato un notevole sviluppo economico e un’apertura maggiore nei confronti dell’Occidente. Ne è prova autorevole la posizione filo-Erdogan che numerosi giornali liberali occidentali (dall’Economist al Wall Street Journal) hanno preso nel corso degli ultimi giorni di campagna elettorale. Un endorsement in piena regola, a riprova che anche i partiti islamici, quando sono moderati e liberali, possono costruire rapporti di reciproca stima e collaborazione con l’Occidente.

Il day after delle elezioni, dunque, è nel segno della stabilità e della continuità. Non si torna indietro sulla strada delle riforme e del progressivo (anche se difficoltoso) avvicinamento all’Unione europea. Erdogan lo ha ribadito anche nelle ultime ore: “Continueremo a lavorare con determinazione per raggiungere l’obiettivo dell’ingresso nell’Ue”. È la conferma che l’adesione alle istituzioni comunitarie rappresenta per Erdogan e l’intera Turchia un passo fondamentale nella definitiva “occidentalizzazione” del paese. Ma il premier ha voluto anche rassicurare opposizione e forze armate, impegnandosi a non “arretrare dai principi basilari della Repubblica”. La laica Turchia kemalista, dunque, sembra essere uscita ancora più rafforzata da queste consultazioni. Chi si preoccupava per la stabilità democratica del paese evidentemente aveva sottovalutato la voglia di modernità di una nazione popolosa e in ascesa, da sempre baluardo del mondo libero in quella difficile area del mondo che è il Medio Oriente mediterraneo.

Sicuramente gli scontri politici per l’elezione del presidente della Repubblica si ripeteranno, considerando che i numeri in parlamento non permettono l’autosufficienza dell’Akp. Ma ormai si è altrettanto sicuri che il risultato elettorale abbia contributo non poco a dare legittimità a una classe dirigente islamista e moderata, europeista e filooccidentale, che negli ultimi anni ha dimostrato affidabilità e competenza.

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