Forse meno
eclatante del previsto ma prevedibile. È questo il primo commento
naturale al risultato elettorale turco. Gli islamisti moderati del
premier Tayyp Erdogan (Akp) hanno ottenuto il 46,58 per cento dei
voti e 343 seggi, tenendo a debita distanza gli altri due unici
movimenti riusciti a superare la soglia di sbarramento prevista
dalla legge elettorale di Ankara. Il Chp (partito laico di sinistra)
ha ottenuto il 20,82 per cento mentre i lupi grigi del Mhp hanno
raddoppiato i voti della scorsa consultazione arrivando al 14,26 per
cento. Una vittoria annunciata, dunque, ma non plebiscitaria. Il
mancato raggiungimento della maggioranza dei due terzi non
permetterà all’Akp di eleggere agevolmente il nuovo presidente della
Repubblica.
Proprio la scelta del nuovo capo dello Stato era stata la
scintilla di una crisi poltico-istituzionale tesa e di
difficile soluzione. Erdogan aveva candidato il proprio
ministro Gul, provocando le ire della composita opposizione
di sinistra e di destra, preoccupata di mantenere intatta
l’impostazione laica della Turchia kemalista. Il successivo
“avviso” delle Forze Armate, da sempre garanti (un po’
ingombranti) della laicità nazionale, aveva spinto Erdogan a
ricorrere all’elezioni come ulteriore prova di legittimità
del suo governo e della sua compagine politica. La risposta
dei turchi è stata netta: si fidano di un governo che negli
ultimi cinque anni ha portato un notevole sviluppo economico
e un’apertura maggiore nei confronti dell’Occidente. Ne è
prova autorevole la posizione filo-Erdogan che numerosi
giornali liberali occidentali (dall’Economist al Wall Street
Journal) hanno preso nel corso degli ultimi giorni di
campagna elettorale. Un endorsement in piena regola, a
riprova che anche i partiti islamici, quando sono moderati e
liberali, possono costruire rapporti di reciproca stima e
collaborazione con l’Occidente.
Il day
after delle elezioni, dunque, è nel segno della stabilità e
della continuità. Non si torna indietro sulla strada delle
riforme e del progressivo (anche se difficoltoso)
avvicinamento all’Unione europea. Erdogan lo ha ribadito
anche nelle ultime ore: “Continueremo a lavorare con
determinazione per raggiungere l’obiettivo dell’ingresso
nell’Ue”. È la conferma che l’adesione alle istituzioni
comunitarie rappresenta per Erdogan e l’intera Turchia un
passo fondamentale nella definitiva “occidentalizzazione”
del paese. Ma il premier ha voluto anche rassicurare
opposizione e forze armate, impegnandosi a non “arretrare
dai principi basilari della Repubblica”. La laica Turchia
kemalista, dunque, sembra essere uscita ancora più
rafforzata da queste consultazioni. Chi si preoccupava per
la stabilità democratica del paese evidentemente aveva
sottovalutato la voglia di modernità di una nazione popolosa
e in ascesa, da sempre baluardo del mondo libero in quella
difficile area del mondo che è il Medio Oriente
mediterraneo.
Sicuramente gli scontri politici per l’elezione del
presidente della Repubblica si ripeteranno, considerando che
i numeri in parlamento non permettono l’autosufficienza
dell’Akp. Ma ormai si è altrettanto sicuri che il risultato
elettorale abbia contributo non poco a dare legittimità a
una classe dirigente islamista e moderata, europeista e
filooccidentale, che negli ultimi anni ha dimostrato
affidabilità e competenza.
(c)
Ideazione.com (2006)
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