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La Cina rifiuta il cemento, via libera al legno
reportage di Elisa Borghi
[13 lug 07]


Se una farfalla batte le ali in Giappone, in Australia potrebbe esserci un maremoto. Se le foreste della Svezia aumentano è - anche - perché la Cina si prepara a lanciare la più grande rivoluzione edilizia dei tempi moderni. Miracoli della globalizzazione di un piccolo pianeta. Ma anche colpi di scena che solo un popolo come quello cinese, determinato e pronto a buttarsi dietro le spalle il passato per votarsi al nuovo, può riservare. La sorpresa del giorno è che in Cina l’età del cemento armato è finita. E ci si prepara ad entrare in quella del legno. Vale a dire che in un futuro assai prossimo muri e pavimenti saranno costituiti da tronchi d’albero. E le città avranno dunque un aspetto completamente diverso da quello attuale. Inverosimile? Niente affatto. “I progetti dei nuovi grattacieli - perché di grattacieli si continua a parlare, il cambio di materiale non implicherà una riduzione dell’altezza degli edifici - aspettano solo di uscire dai cassetti degli architetti.

Gli studi di fattibilità, di resistenza al fuoco, dei punti di collasso e cedimento del legno ove sottoposto a pressioni di vario tipo e a catastrofi naturali, come alluvioni o terremoti, sono pronti da tempo. Gli svedesi, all’avanguardia nel settore, hanno messo a disposizione dei partner asiatici il loro know-how. E non sono i soli esperti ad essere stati interpellati”. A parlare è Lars Westerlund un documentarista di Copenaghen esperto in architettura e venuto ad Hang Zhou, la capitale della ricca provincia orientale dello Zhejiang, proprio per realizzare una serie di filmati su questo tema, piuttosto “caldo” e dibattuto nel suo paese. Già, perché il giro d’affari legato al nuovo business si prospetta enorme. Gli svedesi lo hanno compreso per tempo e hanno investito non solo nell’incremento delle aree forestali ma anche nella ricerca relativa ai prodotti che servono a rendere il legno adatto all’edilizia, a colorarlo, rivestirlo, impermeabilizzarlo e isolarlo in modo che sia resistente al fuoco. Le loro relazioni commerciali con la Cina, poi, sono già ottime, anche perché in Svezia è permessa l’importazione di prodotti privi del marchio CE, che attesta la rispondenza a certi standard di qualità e sicurezza, e quindi il paese acquista davvero di tutto dall’Impero di mezzo. Resta un solo, grande ostacolo da superare prima di poter inaugurare i primi cantieri della nuova era. I muratori non hanno idea di come si costruiscano le case con il legno. Non conoscono la tecnica.

È dunque colpa della manovalanza se, nonostante tutto sia già pronto a livello teorico e progettuale, i cantieri non si potranno ancora aprire per qualche tempo. E la Cina dovrà pazientare almeno un anno prima di cominciare a darsi il nuovo volto che tanto desidera. Un volto che non è una copia dell’Occidente. Ma è espressione di una scelta originale, è figlio della cultura di un popolo che per secoli ha vissuto cercando l’armonia con la natura e oggi è stanco degli ambienti asfittici e dei grattacieli grigi che chiudono l’orizzonte. Gli abitanti delle grandi aree urbane e delle province più industrializzate del paese, quelle in cui l’edilizia negli ultimi anni ha conosciuto un boom senza precedenti, odiano il cemento per almeno due motivi. Il primo è l’insofferenza estetica per uno stile architettonico in cui non si riconoscono e che non li ha mai convinti fino in fondo perché è stato adottato in maniera acritica in quanto simbolo di modernità e potere. Il secondo è il velenoso contributo dei cantieri edilizi tradizionali all’inquinamento di un’aria già resa irrespirabile dai gas di scarico di milioni di automobili e che il continuo abbattimento e rifacimento dei palazzi riempie di particelle di polvere sottile, responsabili di un aumento esponenziale dei casi di malattia alle vie respiratorie. Il ritorno al legno potrebbe essere anche un passo verso uno sviluppo più sostenibile della potenza cinese. E di certo lo sarà se a fornire la materia prima saranno paesi come la Svezia, attenti all’ambiente e alla riforestazione. Certo che se per costruire la nuova Shanghai si dovesse potare la foresta amazzonica il restyling dell’Impero di mezzo si tramuterebbe in una sciagura senza pari. E un lifting non vale certo un disastro ecologico.

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