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Il ritorno della musica sacra, dai gregoriani all'elettronica
di Giuseppe Pennisi
[03 lug 07]


“Sono convinto che la musica sia il linguaggio universale della bellezza, capace di unire tra loro gli uomini di buona volontà su tutta le terra e di portarli ad alzare lo sguardo verso l’Alto e ad aprirsi al Bene ed al Bello assoluti, che hanno la loro ultima sorgente in Dio stesso”. Queste sono parole di Papa Benedetto XVI, un teologo che viene da quella Germania in cui anche nell’epoca più buia dell’ateismo di Stato nei Länder orientali, la musica e l’educazione musicale sono state sempre tenute in grande considerazione ed è stata un nesso con l’Alto (come rievocato di recente da un film di successo sulla polizia segreta, la Stasi). Nel leggerle, mi hanno richiamato alla mente un ricordo lontano. Nel 1975, ero in missione in Etiopia – all’epoca, trentatreenne, dirigevo una divisione in Banca Mondiale. L’Impero abissino era già dilaniato da guerre civili, da siccità e carestie. Dovetti andare, per ragione di servizio, a Gondar, antica capitale sotto il regno dell'imperatore Fasilidas, distesa sul lago Tana, ma allora ridotta a poco più di un villaggio, con alcuni monumenti visitati da raro turismo di lusso. Vi era un solo alberghetto, in effetti un ostello di proprietà statale, spartano, ma in collina e con una terrazza sul lago. Naturalmente, c’era ben poco da fare la sera; anche a ragione dell’altitudine e della fievole lampadina nella mia stanza, alle 22 dormivo. Alle 5 del mattino ero in piedi e – sapevo che Gondar era tranquilla mentre ad Addis Abeba infuriava il terrore – andai a sgranchirmi le gambe.

Scendendo verso il villaggio, il silenzio venne all’improvviso rotto da un coro maschile che proveniva da una grotta trasformata, come consueto nella tradizione cristiana copta, in Chiesa rupestre. Era uno monodia a più voci, prevalentemente bassi anche se alcuni passi erano cantati da monaci più giovani con vocalità simili a quelle dei nostri controtenori. Il testo e la partitura erano scritti su un lungo rotolo in pergamena. Così nel poverissimo insanguinato Impero (allora l’aspettativa di vita alla nascita si aggirava sui 35 anni), i monaci di Gondar viaggiavano dal Bene al Bello verso l’Alto cantando le loro preci mattutine, accompagnati da alcuni semplici strumenti a percussione ed a fiato. Non potevo certo comprendere ciò che cantavano (era in antico aramaico), ma la composizione aveva molto in comune con l’antico Exsultet di Avezzano, forse la prima partitura rimastaci (risale all’XI secolo), ascoltata a fine aprile a Roma in una Basilica di Santa Maria Maggiore, affollata di appassionati accorsi ad per ascoltare e vedere un'azione sacra di canto gregoriano e ambrosiano. Dall'ambone il diacono cantava l'Exsultet srotolando lentamente la pergamena che era composta da un connubio di immagini, parole e musica. Un repertorio antico, solo per pochi fidelizzatissimi (per utilizzare il linguaggio dei sociologi) alla musica sacra? Tutt’altro. Nel 2004, l’associazione italiana più vivace di musica contemporanea, Nuova Consonanza, ha dedicato alla “musica dello spirito”, il suo festival autunnale annuale. È stato un evento importante: il comune di Roma ha decurtato, per varie ragioni, il proprio contributo a Nuova Consonanza ma a sottolineare il rilievo (anche internazionale) dell’evento, gli Istituti di Cultura in Italia di Belgio, Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi e Stati Uniti hanno ciascuno messo a disposizione fondi e soprattutto le loro bellissime sedi (Villa Medici, Villa Aurelia, e simili) perché non solo il festival si tenga ma vi partecipino (senza differenza di fede) pure artisti stranieri.

Questa estate tre festival italiani sono dedicati quasi interamente alla musica dello spirito e consentono di effettuare un viaggio dall’Undicesimo secolo dei canti di Gondar e dell’Exsultet sino alla più sfrenata contemporaneità. Un percorso a ritroso è quello che offre il festival “Creator”, giunto alla terza edizione, che ha preso il via il 12 maggio a Faenza e proseguirà fino all'8 luglio, toccando non solo luoghi di grande rilievo artistico della Romagna (come la Badia di Santa Maria del Monte a Cesena) ma anche Bologna e Roma. La manifestazione è cominciata con un omaggio a don Lorenzo Perosi, uno dei maggiori e più prolifici compositori del Novecento storico italiano. L'esecuzione è affidata ai solisti della Cappella Marciana, diretti da Jonathan Pradella. La Missa Seconda Pontificalis, composta nel 1896, è una partitura di fine Ottocento ma piena di pulsioni novecentesche ben messe in risalto dall'orchestra e dai solisti della Basilica di San Marco a Venezia. Il resto del Festival è dedicato, in larga misura, alla figura di San Filippo Neri. Dall'esecuzione delle laudi polifoniche seicentesche di devozione mariana raccolte da Giovanni Arancione alla prima esecuzione in tempi moderni dell'azione drammatica (una vera e propria opera di argomento religioso) del 1765 di Antonio Sacchini “L'abbandono delle ricchezze di San Filippo Neri”, eseguita, con grande successo, a Roma il 25 maggio, con il complesso dell'Accademia Bizantina guidata da Ottavio Dantone e a un cast vocale internazionale. In luglio, nelle ultime manifestazioni del Festival si torna al canto gregoriano. Un percorso a tema è, invece, quello che propone il Ravenna Festival (dal primo giugno al 22 luglio). Il tema è l’Apocalisse di San Giovanni, in particolare lo scontro tra il Male della Babilonia terrena ed il Bene della luminosa Gerusalemme celeste, costruita in “pietra di diaspro”.

Si intitola “Pietra di Diaspro” un’opera video di Adriano Guarnieri , su testi di Paul Celan commissionata dal Teatro dell’Opera di Roma e dal Ravenna Festival e che, dalla città romagnola, dovrebbe iniziare un lungo viaggio in teatri italiani e stranieri. Attraverso differenti linguaggi artistici (suono, immagine, parola, danza) ed impiegando live electronics, accanto a musica dal vivo sia vocale sia strumentale (tra l’altro è stato creato appositamente un flauto iperbasso dalla lunghezza di oltre 16 metri), l’opera-video intende mostrare la situazione di spaesamento e conflitto che attanaglia l’unità dopo il crollo delle ideologie e delle utopie, attraverso un articolato simbolismo che trova il proprio perno nel numero sette (sette le parti principali in cui l’opera è composta, sette i solisti vocali, sette le ombre, sette le arpe, e via discorrendo). Le ideologie e le utopie – amava dire André Malraux – hanno caratterizzato il Ventesimo secolo, mentre il Ventunesimo secolo sarà quello delle religioni. Per avvicinare i giovani, la musica come via del Bene e del Bello verso l’Alto sposa la contemporaneità anche più estrema, come nel “Kyrielle du sentiments des choses”, opera da camera per cinque voci, piano e strumentazione elettronica, dell’allora trentenne François Sarhan su testo di Jacques Roubaud, che ha trionfato nel 2003 al Festival di Aix-en-Provence ed ha avuto una fortunata tournée nei due anni successivi.

Il Ravello Festival (dal 29 giugno all’8 settembre) offre un ricco calendario di eventi sullo sfondo degli scenari di Villa Rufolo, Villa Cimbrone e molti altri scorci naturali e architettonici della cittadina della costiera amalfitana. Il tema prescelto come filo conduttore della è la Passione. La manifestazione si articola in varie forme: musica sinfonica, musica da camera, tendenze, passeggiate musicali, cinemusic, arti visive, formazione. Nelle sezioni musicali, un panorama vasto di lavori ispirati alla Passione, principalmente dell’Ottocento e del Novecento “storico” con qualche tocco al barocco ed alla contemporaneità. Quindi, la musica come strada al Bene ed al Bello per giungere all’Alto è più viva che mai.

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