26  giu  07 - Anp, se perdere Gaza si rivela la mossa vincente di Alessandro Marrone 

 

 

 

 

La politica italiana nel MO e il tarlo del comunismo
di Antonio Donno
[02 lug 07]


Molti commentatori, pur di non riconoscere il fallimento della politica europea, e soprattutto italiana, nei confronti del problema israelo-palestinese, si compiacciono di affermare che la conquista di Gaza da parte di Hamas pone la Striscia in una condizione di isolamento internazionale con ripercussione negative sulla vita della popolazione locale. La colpa – è ovvio – è degli Stati Uniti e di Israele, rei di non aver riconosciuto il governo di Hamas ed instaurato regolari rapporti ed erogato i finanziamenti al governo legittimo palestinese. Siamo alle solite. Nell’illusione ormai decennale dei detrattori di Israele di poter ristabilire uno status quo accettabile nella regione, essi non fanno altro che ricercare i possibili interlocutori proprio nei paesi e nei movimenti che vogliono la distruzione dello Stato ebraico. Il governo italiano, ed in prima fila il nostro ministro degli Esteri D’Alema, ha aperto disinvoltamente una linea di credito prima all’Iran, che avrebbe il diritto al nucleare, poi alla Siria, considerato paese-chiave per ogni trattativa utile, poi Hamas, che, avendo vinto le elezioni, è divenuto dall’oggi al domani una formazione democratica; per non dire di Hezbollah che, essendo presente nel Parlamento libanese, pare che abbia tutto il diritto di costituire uno Stato nello Stato.

Da dove deriva questo atteggiamento politico? Quali sono le matrici politico-culturali che consentono a D’Alema e soci di perseguire questa politica apparentemente dissennata? Nessuno dice, per amor di Patria, che D’Alema e i suoi seguaci, più la variegata compagnia dell’estrema sinistra italiana, sono stati e restano comunisti. Con ciò si vuol dire che nella loro visione del mondo, ed in particolare della crisi mediorientale, agisce sempre, come un chiodo fisso, la tradizione di marca sovietica che a suo tempo bollò Israele come Stato imperialista al soldo, ovviamente, degli Stati Uniti. Neppure l’evidenza lampante della realtà odierna mediorientale (il terrorismo, l’assalto islamista all’Occidente, le farneticazioni iraniane sulla distruzione di Israele, l’eterno doppio gioco della Siria, che da una parte finge di volere negoziati, dall’altra è al servizio di Teheran nel rifornire di armi tutti i peggiori movimenti terroristici che si aggirano nell’area) scalfisce le certezze ideologiche di D’Alema e compagni: Israele ha torto per definizione, cioè perché è l’avamposto della cultura e dei valori dell’Occidente “imperialista” nel cuore del mondo arabo. Per i nemici di Israele sono sempre pronte tutte le giustificazioni possibili, per Gerusalemme mai.

Molti dicono che il comunismo è morto. Non è vero. Esso agisce ancora come un tarlo in coloro che, avendo perso la casa-madre, vedono in tutto ciò che è anti-occidentale, nel senso più vasto del termine, la chiave utile per raggiungere quello scopo che il marxismo ha fallito miseramente. Così, ha ragione Roger Scruton quando afferma: «È il rapporto tra Israele e l’America che fa di Israele l’obiettivo dell’Islam militante [...]. Quando Israele è diventato l’obiettivo dei militanti islamici di Hezbollah, non era per raggiungere un qualche accordo favorevole al popolo palestinese. Era per punire Israele in quanto propaggine dell’Occidente nel dâr al-islam». In fondo, i nostri “progressisti” non si discostano molto da questa interpretazione, anche se la propongono in una forma più accettabile alla “sensibilità democratica” di certo Occidente. Se vogliamo, che sia stata al-Qaeda o gli stessi Hezbollah a fare strage dei caschi blu nel Libano meridionale non sposta di molto il problema. L’assedio di Israele da parte delle formazioni terroristiche, il potere destabilizzante nel Medio Oriente acquisito dall’Iran (e dalla Siria), la situazione traballante della democrazia nel Libano, sono tutti fattori che sembrano sfuggire alla volontà europea di svolgere un ruolo decisivo nella regione. Così, il trito ritornello di condanna dell’unilateralismo americano e di richiesta di maggiore multilateralismo si trasforma in uno stallo politico dell’Europa, incapace di decidere e di agire conseguentemente.

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