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L'enfant prodige liberale alla prova della maturità
di Domenico Naso
[28 giu 07]


“Questa o quella per me pari sono”. L’aria del Rigoletto di Verdi sarebbe perfetta per Daniele Capezzone, se solo l’ex segretario radicale avesse una voce intonata e tenorile. Il già enfant prodige della pluridecennale stirpe radicale, infatti, sta per scendere formalmente in campo contro le mancanze liberali dell’uno e dell’altro polo politico. Manca poco, ormai, al lancio del network capezzoniano, un’aggregazione che ha come scopo principale il rilancio delle riforme economiche e sociali di stampo liberale. Il tutto in puro stile bipartisan, forse perfino “tripartisan”, se consideriamo i cosiddetti “terzisti” o chi fino ad oggi non si è mai schierato; basta scorrere i nomi dei possibili aderenti, ormai da giorni protagonisti del totocapezzone sui giornali, per capirlo: Monti, Giavazzi, Ichino, Taradash, Della Vedova, Tabacci, Caldoro, Debenedetti, Pezzotta, Turci, Polito, De Luca e addirittura Luca Cordero di Montezemolo. Un mix azzardato secondo alcuni, non fosse altro perché, a prescindere dall’impostazione liberale dei personaggi, non sarà facile tenere insieme per un progetto a lungo termine individui così diversi per quanto riguarda le sensibilità politiche (o più prosaicamente lo schieramento di appartenenza).

Sempre che di progetto a lungo termine si tratti. Aggregazione “a progetto”, allo scopo contingente di rilanciare le riforme sul modello del gruppo dei Volenterosi? Gruppo permanente di pressione (chiamiamola pure lobby)? O piuttosto piattaforma politica dalla quale partire per costruire qualcosa di più, per rinnovare lo scenario politico e scendere in campo ufficialmente davanti agli elettori? Nel primo caso il suddetto problema della coesistenza politica non sussisterebbe. Finita la missione prefissata, infatti, ciascuno tornerebbe al proprio posto, politico o imprenditoriale che sia. Ma chi conosce Capezzone e ne ha seguito la recente parabola politica sembra sconfessare questa tesi. Il presidente della commissione Attività Produttive della Camera, infatti, avrebbe in mente qualcosa di più ampio e ambizioso. Conscio dell’inutilità oggettiva di un nuovo partitino e impossibilitato a scegliere (almeno per il momento) un partito nel quale confluire, Capezzone vorrebbe, in poche parole, partire da un network politico-culturale, quasi un think tank, per poi capire se il quadro politico si possa riadattare al progetto liberale che intende portare avanti. Non in chiave terzista, però. Almeno questo è quello che lo stesso Capezzone ha più volte ripetuto. E d’altronde non ce lo si aspetterebbe di certo da un uomo che del bipolarismo e del sistema elettorale maggioritario puro ha fatto vessilli di una lunga battaglia politica e referendaria.

E allora, viene da chiedersi, “questa o quella” non sono pari per nulla? Al momento parrebbe di sì, o quasi. Ma sembra piuttosto chiara l’intenzione di Capezzone di far attecchire il seme del liberalismo nei campi sterminati ma un po’ oziosi del centrodestra. La delusione nei confronti del governo Prodi, d’altronde, Capezzone non l’ha mai nascosta, fin dai primi mesi di governo. Troppo titubante e timido, troppo condizionato dai veti della sinistra radicale, l’esecutivo prodiano non poteva soddisfare il liberale di razza Capezzone, né frenare i suoi propositi quasi “donchisciotteschi”. Mediaticamente ha saputo proporsi piuttosto bene, sfruttando la proficua scuola radicale in quanto a creazione dell’aspettativa. Buon gioco ha fatto anche la grande stampa, già impegnata da alcuni mesi nella battaglia per una rinnovata politica del “fare”, forte delle recenti prese di posizione di Montezemolo. 

Il 4 luglio è vicino (è casuale la coincidenza con l’Independence Day americano?) e proprio quel giorno Capezzone presenterà la sua “creatura” attraverso dieci punti che costituiranno il vero e proprio programma politico-economico. I modelli da seguire sono chiari: Rudolph Giuliani, Tony Blair, José Maria Aznar e il giovane ministro svedese Anders Borg. I riferimenti internazionali, dunque, potrebbero aiutarci a capire la futura collocazione politica del gruppo capezzoniano. Sembrerebbe, infatti, quasi una risposta “repubblicana” all’esperimento “democratico” di Ds e Margherita, per la costruzione di uno scacchiere partitico in chiave bipolare e “americana”. Se così fosse, tuttavia, bisognerebbe sentire cosa ne pensano Berlusconi, Fini e Casini. Oppure l’ex enfant prodige di via di Torre Argentina si sente così forte da poter distruggere il Tempio e ricostruirlo in soli tre giorni?

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