I
lettori di questa rubrica non saranno sorpresi dal fatto che la
riuscita del vertice europeo che si apre oggi a Bruxelles e che
chiude il semestre di presidenza tedesco si giochi sull’opportunità
di una radice quadrata. Ne avevamo parlato
due settimane fa, evidenziando come sulla strada dell’accordo
per il nuovo mini-trattato europeo la Polonia dei gemelli Kaczynski
avesse frapposto un masso grande quanto una casa. E cioè il veto a
qualsiasi sistema di voto che penalizzasse la posizione di
privilegio che Varsavia ha conquistato attraverso il vecchio sistema
di votazione. Il problema è che quel sistema non funziona più e non
consente a un’Europa allargatasi a 27 membri di procedere con la
speditezza necessaria all’approvazione di nuove regole. La radice
quadrata, divenuta subito il simbolo un po’ grottesco di questa
guerra di nervi, è la misura attorno alla quale dovrebbe essere
calcolato il peso specifico di ogni paese. Vi risparmiamo i calcoli:
in questo modo la Polonia manterrebbe un peso artificialmente
elevato.
“Radice quadrata o morte”, questo è dunque il sobrio slogan
con il quale la coppia gemellare di Varsavia si presenta a
Bruxelles. C’è poco da ridere, tuttavia. Poco prima di
aprire il vertice il presidente polacco ne ha tirata fuori
un’altra. Se la radice quadrata non va bene, allora
bisognerebbe aggiungere ai polacchi di oggi anche i
polacchi morti durante la seconda guerra mondiale (e
uccisi dai tedeschi): con essi, la Polonia avrebbe 66
milioni di abitanti e le spetterebbe un peso ben maggiore
rispetto a quello assegnatole dal mini-trattato. Dietro
l’astrusa misura, i gemelli solleticano
vecchi e nuovi rancori continentali. La preoccupazione
dei paesi più piccoli di contare poco, e di venir scavalcati
dalle decisioni dei paesi più grandi. Il timore che la
Germania possa assumere quel ruolo di guida che la
geografia, l’economia e anche la demografia naturalmente le
concedono. Il sospetto di alcuni governi euroscettici che in
questo modo le leve del potere rimarranno all’interno della
consolidata burocrazia bruxellese. Qualche preoccupazione
sensata e grandi dosi di demagogia si mescolano nel
neo-nazionalismo polacco interpretato dai gemelli, che
spingono sul tasto dell’interesse nazionale anche per
sopperire al calo di consensi interno. E così facendo
catalizzano anche il dissenso di paesi come la
Repubblica Ceca, la cui dignità non permette di
appoggiare in pieno i diktat di Varsavia e tuttavia consente
al suo governo di utilizzare questa sponda per impedire
l’accordo tenacemente
voluto da Angela Merkel.
Strano
destino quello polacco. I
sondaggi rivelano che i suoi cittadini restano fra i più
entusiasti europeisti del continente. Chiunque abbia avuto
modo di visitare il paese negli ultimi mesi lo avrà
certamente trovato assai distante dalla sua rappresentazione
politica. Cresce anzi l’imbarazzo per una classe dirigente,
quella legata al partito Giustizia e Libertà dei gemelli
Kaczynski, che sta creando un fossato di incomprensione con
il resto dell’Europa e, in particolare, con il vicino
tedesco. Le esperienze familiari dei due gemelli, con i
genitori vittime della ferocia nazista nella seconda guerra
mondiale, non sembrano una giustificazione sufficiente per
la loro politica anti-tedesca che risulta oggi fuori tempo e
fuori luogo. Il premier lussemburghese
Jean-Claude Juncker, uno dei saggi dell’Unione e guida
di un piccolo Stato, ha provato a disinnescare il timore
della Grande Germania: “E’ il miglior vicino che si possa
pensare di avere” ha detto poco prima dell’apertura del
vertice. Ma anche lui non si fa troppe illusioni: l’accordo
è possibile al 50 per cento. Il restante 50 è tutto nella
sapienza diplomatica mostrata finora da Angela Merkel.
(c)
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