Repubblica
di Aldo G. Ricci


Curioso destino quello della Repubblica nel nostro paese: le sue radici affondano in profondità nel Dna dell’Italia, ma quando in questo dopoguerra ha rivisto la luce, questo è avvenuto in forma dimessa e con una limitata adesione collettiva. Secondo i maestri della storiografia settecentesca, la forma repubblicana rappresenta un seme diffuso già in epoca preromana: etruschi e sanniti si governano così liberamente. Con Roma, la Repubblica assurge al suo fulgore, che circonda il termine di una sacralità destinata a durare: è la forza di un bene comune, ma anche di un governo fondato sulla prevalenza della legge. Questo filo sotterraneo ricompare con i Comuni, dove s’intreccia con l’amore per la piccola patria, per il Campanile, ma con una passione per la libertà che indurrà molti a collocare in questa tradizione la vera radice della moderna libertà europea, che trova in Machiavelli il suo più lucido cantore.

Sulla scia della Rivoluzione francese, il repubblicanesimo riprende fiato, fino a formare le prime schiere dei patrioti di un’Italia libera e autogovernata. L’ideale unitario ottocentesco nasce essenzialmente repubblicano, anche se poi il quadro internazionale e il ritrovato dinamismo sabaudo porteranno alla vittoria monarchica. Ma la repubblica resta un’esigenza largamente sentita, trasversale rispetto agli schieramenti politici. Quando però suona la sua ora, sulla scia della sconfitta nella seconda guerra mondiale, che trascina con sé la monarchia, il paese è ormai imbevuto delle ideologie legate all’incipiente divisione del mondo in due blocchi. La passione repubblicana dura poche le settimane che precedono il referendum del 2 giugno 1946, ma più come rifiuto della monarchia che come affermazione di un ideale di lunga data. Gli ideali sono ormai ideologie e il patriottismo è per lo più di partito. Quando sorge effettivamente, la Repubblica tanto agognata è orfana di padri e povera di figli, tutti impegnati in altre direzioni. Ma questa storia è ormai alle nostre spalle: il secolo è finito e le ideologie con esso. C’è spazio oggi perché la Repubblica ritrovi i suoi patrioti, anche se il percorso è duro e le cattive abitudini difficili a morire. I segnali positivi, tuttavia, non mancano, sia in alto che in basso, e la durezza delle sfide all’orizzonte potrebbe dare una spinta ulteriore a questo processo virtuoso da cui dipende, a ben vedere, il nostro futuro.

21 dicembre 2001

 
 

 

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