Pinocchio
di Giorgio Albertazzi
Ho visto Pinocchio in scena della storia. Si trattava di uno
spettacolo ideato e diretto da un grande regista fiorentino, Athos
Ori, che non volle mai uscire da Firenze per darsi alla
professione. Uno spettacolo festoso, colorato, tenero e
irriverente. Protagonista una ragazzina nel ruolo del burattino.
Cosa ne veniva fuori? Che Pinocchio era più simpatico del bambino
studioso, questo è ovvio; che Pinocchio amava più giocare che
studiare e anche questo è ovvio. Quello che era meno ovvio è che
Pinocchio era di un’altra razza rispetto agli adulti. Pinocchio
era il regno, il bosco misterioso, la paura e la risata della
fanciullezza. E' tutto qui il punto. Prefigurando il mondo come un
uovo, con tutta la sua forma interna ed esterna, Pinocchio non
riesce ad entrarci come il Magis de l’oeuf di Marceau. Ma vuole
veramente entrarci? Io penso di no. Il gioco come simbolo del
mondo, gli adulti e le loro scuole, i loro buoni sentimenti basati
peraltro sull’ipocrisia, sono i nemici di Pinocchio. Pinocchio è
il libro Cuore letto alla rovescia. Non ha senso Pinocchio. La
fatina è un sogno. Ogni tanto appare verso l’alba, tutta piena di
lucette e lui finge rispetto e amore.
Pinocchio è un saggio, senza saperlo è un filosofo zen. Da
ragazzino ogni tanto rileggevo le scene del Grillo Parlante che
diceva esattamente le cose che diceva mia nonna Leonilde. La quale
poi, interrogata in proposito, mi rispondeva: “A me questo Grillo
non mi piace!”. Toscana come Pinocchio e come me, che non mi sono
fatto mai un’idea precisa sulla morale del racconto. Penso che la
morale appartenga al contenuto manifesto, mentre il contenuto
latente è dominato dalla poesia, che non è né buona né cattiva, né
brutta né bella. Messaggio dell’arte. Tutto il segreto della
storia è Geppetto. L’autore costruisce qualcosa che poi gli sfugge
di mano, come la creazione al Creatore. Vive autonoma, imperitura
come Charlot con Chaplin: anche Charlot non entra nell’uovo.
Pinocchio è cattivo, provocatorio, mentisce, recita continuamente,
è anarchico, lussurioso e patetico. E’ uno che dice al suo
creatore: “Mi hai dato la vita, ma non il sentimento per viverla.
Devo camminare da solo e il cammino è impervio.” Molto prima dei
trentacinque anni danteschi, Pinocchio è nella selva oscura: occhi
nel buio, zecchini, grilli, fatine melense. A pensarci bene tutto
ciò è pieno di improvvise accensioni e appetiti: è la vita.
21 dicembre 2001
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