Casanova
di Stenio Solinas


Via via che il fango della maldicenza, della boria e della pigrizia intellettuale se ne va, sempre più ci accorgiamo che Giacomo Casanova fu un gigante del suo tempo. Vi recitò da vivo un ruolo per nulla marginale, e lo fece in una società dai ranghi gerarchici ben definiti, lui che di ranghi e di gerarchie non ne aveva e fu costretto a inventarseli. Gli sopravvisse da morto, quasi condizionandolo, scrivendo delle Memorie che non solo sono fra le più belle della letteratura universale, ma altresì un affresco sociale, culturale, politico ed economico imprescindibile per comprendere il Settecento, la sua decadenza, ciò che ne avrebbe preso il posto. Curioso, orgoglioso, colto, vitalista, viaggiatore, Casanova aveva in sé molti elementi di quell’italianità ante litteram che poi si persero nell’Ottocento delle rivendicazioni nazionali in cui l’Italia trovò una forma statuale ma smarrì l’anima che l’aveva resa possibile. Così, il termine avventuriero assunse un moralistico sapore di condanna, il sostantivo che nacque dal suo nome si colorò di una tinta pruriginosa, la straordinaria vita vissuta fu relegata a invenzione, megalomania senza riscontro. Peccato, perché come tipo Giacomo Casanova, veneziano, alla nuova Italia sarebbe potuto servire come modello. Ce n’è arrivata, invece, solo la caricatura.

21 dicembre 2001

 
 

 

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