La Olivetti
di Giampiero Mughini


Se le generazioni italiane che traevano il loro pane dalla macchina da scrivere negli anni ’50 e ’60 - Montanelli ne è il campione più celebre - battevano sui tasti della “lettera 22”, le generazioni successive - e dunque la mia - si avventavano su una macchina da scrivere i cui esemplari stanno oggi nei musei di arte moderna e contemporanea di tutto il mondo: la “Valentina” rossa che l’architetto e designer Ettore Sottsass disegnò per la Olivetti nel ’69. Doveva essere un oggetto agile e brioso, che costasse poco e fronteggiasse l’invasione delle macchine da scrivere giapponesi. Sottsass si inventò un materiale plastico di poco prezzo e ne fece un oggetto vistoso e giovane, il segno come di una speranza e di una libertà. Il segno di tutto il design italiano degli anni ’60 e ’70, i cui maestri hanno fatto la storia del design del ’900. Poche cose portano il segno italiano, in tutto il secolo, quanto le macchine da scrivere, i posacenere, le radio portatili, i ventilatori, le poltrone, le librerie marchiate dal made in Italy. E questo mentre a tutt’oggi non esiste in Italia un museo del design del Novecento (lo stanno impiantando nei locali della Triennale di Milano), e mentre in Germania o in Giappone o negli Usa sono decenni che comprano quegli oggetti, quei capolavori della creatività italiana.

21 dicembre 2001

 
 

 

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