L'Europa è giunta a un punto di svolta
di Domenico Mennitti

L’episodio di Strasburgo e le ricadute polemiche ancora molto vivaci pongono l’esigenza di approfondire il significato della unanime richiesta di attribuire all’Unione Europea una funzione più attiva e dinamica sul piano politico. E pongono in particolare il problema della natura dei rapporti fra gli organi istituzionali comunitari, soprattutto fra Consiglio e Parlamento.

Ora la presidenza di turno del Consiglio non si fonda sul rapporto di fiducia con il Parlamento, bensì su un meccanismo automatico che consente a tutti i paesi membri di assumere per il periodo di sei mesi tale ruolo. Ne deriva che il Presidente del Consiglio va in Parlamento per illustrare il programma che si prefigge di realizzare senza che questo sia soggetto ad approvazione. In termine tecnico si tratta di una comunicazione, per cui il dibattito deve obbligatoriamente svolgersi entro l’ambito delle informazioni ricevute, alle quali è lecito che i parlamentari offrano contributi di adesione oppure osservazioni di dissenso. A Strasburgo questa volta si è manifestato un fenomeno nuovo, nel senso che il dibattito si è svolto secondo i canoni classici delle contrapposizioni politiche nazionali, ed il Parlamento si è diviso in settori, alcuni a favore ed altri contro Berlusconi. Fra i primi, compatti anche quando la materia del contendere è stato il passato nazista della Germania, i deputati del gruppo popolare; fra i secondi, ostinati anche quando lo “stile Schulz” per alcuni era palesemente difficile da accettare, i parlamentari del gruppo socialdemocratico. Nessuno può contestare che principio generale di una sana politica è la libera espressione del dissenso; però bisogna chiedersi in quale modo potrà in sede politica esprimersi unitariamente un organismo internazionale che si pone come interlocutore delle altre potenze mondiali. Pur essendo in atto un processo di esemplificazione, all’interno del Parlamento che presto ospiterà i rappresentanti di venticinque paesi restano nette due concentrazioni ( popolare e socialista ) che dell’Europa postulano un modello diverso di sviluppo e di rapporti internazionali.

In verità l’Unione Europea ha operato negli anni scorsi tenendosi in equilibrio fra il governo forte delle istanze economiche ed il riferimento flebile alle ragioni della politica. Un efficace compromesso insomma, che potrebbe rivelarsi non più in grado di produrre effetti adesso che la politica sta diventando elemento centrale del processo di unificazione. Peraltro è la prima volta che l’Europa punta a varare una Costituzione, cioè a definire in anticipo le regole del gioco. Sinora è sempre accaduto che la Comunità abbia codificato le regole dopo averle sperimentate nella pratica. Sicuramente, allo stato delle cose, Cox si è mostrato un presidente inadeguato quando ha consentito a Schulz e , per reazione, a Berlusconi di trasferire nell’assemblea di Strasburgo polemiche estranee al merito dei lavori parlamentari; però quanto è accaduto segnala un problema ( lo si potrebbe anche definire un rischio ) connesso alla invocata politicizzazione dell’Unione ed alla valorizzazione della “casa della politica”, che è appunto il Parlamento.

L’impressione è che siamo di fronte ad una svolta che sinora non è stata valutata nella sua reale portata e l’incidente di martedì scorso ha contribuito a metterla in evidenza. Ci sono vicende che definiamo casuali ed invece cambiano la faccia del mondo. Compresa quella dell’Europa, che diventerà una grande potenza mondiale quando avrà affrontato con coraggio le contraddizioni che qualche mese fa la mostrarono in ordine sparso di fronte ad eventi definiti epocali non per indulgere all’enfasi. Come gli uomini, anche le nazioni ed i continenti debbono fare e non eludere i loro conti con la storia. L’Europa avverte e soffre l’insufficienza politica, ma il suo recupero costa impegno e fermezza. Lo scontro di Strasburgo può essere stata un’avvisaglia.

(dal Messaggero del 5 luglio 2003)