Un marchio Made in Europe
di Pierluigi Mennitti
Un marchio Made in Europe per tutelare la proprietà intellettuale dei
prodotti europei e contrastare la contraffazione e la concorrenza
sleale. E’ questa la proposta che il viceministro delle Attività
Produttive con delega al Commercio estero, Adolfo Urso, ha avanzato nel
vertice EuroMed di Palermo che di fatto ha aperto il semestre di
presidenza italiano dell’Ue in materia di commercio estero. Una proposta
accolta con grande interesse dai ministri dei Quindici: il mercato del
commercio è cambiato e la pressione della concorrenza asiatica è
divenuta fortissima. Su mercati globali è necessario essere presenti con
adeguate sicurezze, come fanno Stati Uniti e Giappone che da anni
tutelano i propri prodotti (e i consumatori) attraverso le etichette
Made in USA e Made in Japan.
Obblighi che riguardano conseguentemente anche i paesi che vogliono
esportare su quei mercati, dove devono essere presenti con il marchio di
origine del prodotto. I consumatori americani o giapponesi, dunque,
possono scegliere i prodotti da acquistare leggendo sull’etichetta la
loro provenienza: un’informazione in più che spesso ne sottintende
altre, come la qualità e la cura di fabbricazione del prodotto. In
Europa questo al momento non è possibile. La normativa sulla concorrenza
impedisce che sulle merci vi sia un’etichetta nazionale: Made in Italy,
Made in France o Made in Germany sono marchi ormai banditi per molti
prodotti e dunque i nostri mercati sono invasi da beni di consumo di cui
non si conosce la provenienza. Essendo questo obbligo reciproco, i paesi
asiatici non sono tenuti a fornire di etichetta le proprie merci. Ecco
dunque che l’Europa è divenuto un continente invaso dall’agguerrita
concorrenza asiatica che non si manifesta, come sarebbe opportuno, alla
luce del sole. Ma il problema è, appunto, nella nostra normativa
continentale.
Adesso la proposta italiana mira a colmare il vuoto esistente.
L’allargamento dei mercati a dimensione globale pone questo problema
all’ordine del giorno. L’idea di Urso è anche quella di accompagnare al
marchio generale Made in Europe la denominazione nazionale, almeno per
determinati settori merceologici: ad esempio una targhetta potrebbe
contenere l’informazione completa Made in Europe-Italy, fornendo al
consumatore un’informazione completa sul prodotto. E, per la questione
della reciprocità, tutte le merci in ingresso sui mercati europei
dovranno essere fornite del marchio d’origine di fabbricazione. I
prodotti asiatici saranno così direttamente riconoscibili e il
consumatore potrà decidere in assoluta libertà e consapevolezza che tipo
di bene acquistare.
L’intera materia sarà al centro del prossimo round d’incontri del WTO, e
l’Europa ha l’occasione di giungere preparata a questo importante
appuntamento. Le preoccupazioni di molti settori produttivi sono
altissime, nel 2005 – ad esempio – salteranno le quote sulle fibre e
l’unica forma di tutela della produzione europea è quella di dotarsi di
un marchio continentale. Il viceministro Urso ha impostato le tappe per
completare il perfezionamento della proposta entro la conclusione del
semestre di presidenza italiano. A fine luglio si incontrerà con
un’apposita commissione della Confindustria per recepire tutte le
richieste e le osservazioni delle associazioni di categoria (molte delle
quali sono entusiaste dell’idea di istituire finalmente un marchio
continentale). Nel frattempo negli altri paesi europei i ministri
competenti proveranno a sviluppare osservazioni e suggerimenti che
verranno messi a confronto con la bozza di proposta italiana: una
commissione a livello europeo dovrà svolgere il lavoro tecnico per
giungere alla definizione del progetto marchio: “Le esigenze delle
imprese europee e la buona accoglienza che questa nostra proposta ha
trovato a Palermo – conclude Urso – sono di buon auspicio per un rapido
successo dell’iniziativa. E’ uno dei contributi italiani per un’Europa
più forte e competitiva sui mercati internazionali”.
pmennitti@ideazione.com
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