Restituire fiducia all’Europa
di Silvio Berlusconi
Quando tredici anni fa l’Italia assunse la presidenza di turno della
Comunità europea, il continente era appena uscito dall’euforia per il
crollo dei sistemi comunisti dell’Est e si confrontava con i problemi
legati alla difficile transizione politica ed economica di quelle
nazioni verso la democrazia e l’economia di mercato. Sull’altra sponda
dell’Adriatico l’implosione della Jugoslavia lasciava il campo alla
drammatica guerra civile che avrebbe insanguinato ancora per anni terre
europee. L’Europa in qualche modo reagì, con un progetto a medio termine
che avrebbe rilanciato la sfida per un continente forte, capace di
stringere al proprio interno legami sempre più intensi e di indicare la
via alle nuove nazioni emerse dalla lunga glaciazione del comunismo.
L’Unione europea è subentrata a quella che era una Comunità; è nato
l’euro, la moneta unica che suggella l’interdipendenza economica dei
dodici paesi che vi aderiscono; l’Unione si sta allargando a venticinque
membri e si estenderà a ventisette fra quattro anni. Anche la sfida dei
Balcani è stata in qualche modo vinta, con l’aiuto decisivo degli Stati
Uniti e della Nato: e ormai, di fronte alle nostre coste adriatiche, vi
sono Paesi che rifioriscono e che guardano all’Europa come ad un approdo
non troppo lontano.
Oggi che la guida dell’Unione è affidata di nuovo all’Italia la
situazione è apparentemente non troppo dissimile. La guerra all’Iraq ha
segnato uno dei momenti più difficili per l’Europa, ritrovatasi divisa
su strategie, tempi e modi dell’azione americana. Solo un accorto lavoro
diplomatico e la buona volontà dei paesi membri hanno evitato che queste
divergenze, si allargassero: ma i compromessi trovati debbono portare a
soluzioni durature.
Sul versante istituzionale giunge ormai al termine il lavoro di stesura
della bozza di Costituzione europea elaborata dalla Convenzione. Sul
piano economico, tutta l’Unione soffre le conseguenze di un lungo
periodo di bassa crescita che rende necessario mettere mano ad alcune
riforme strutturali e rivedere certi criteri che hanno guidato sinora le
strategie dei Paesi membri. E infine occorre pensare all’Europa del
futuro. I dieci nuovi membri sono impegnati negli ultimi passaggi prima
del loro ingresso nell’Unione a venticinque, ma i referendum
confermativi che si stanno tenendo nei vari Stati testimoniano
un’adesione al progetto europeo meno acritica rispetto agli anni
precedenti: un segnale che sarebbe sbagliato non raccogliere e
interpretare.
Un progetto di pace, democrazia e sviluppo
L’Europa di oggi si comporta come se avesse smarrito la consapevolezza
del suo successo. Allorchè dovrebbe incassare i dividendi delle sue
scelte vincenti, per investirli in nuove sfide e in nuove avventure,
pare ripiegarsi su se stessa. Come se si fosse affievolito quel soffio
vitale che ha permesso all’Europa di avviare, dopo la tragedia di due
guerre mondiali, un affascinante progetto di pace, di democrazia e di
sviluppo. L’Europa è finalmente un grande continente unito
dall’Atlantico ai Carpazi, un continente che si è dotato di una moneta
unica che funziona, che sta per varare una Carta Costituzionale che
simboleggia un’unione sempre più forte, eppure mostra qualche segno di
incertezza. Al di là dei singoli programmi sui quali la presidenza
italiana si impegnerà, vorrei che il segno distintivo dei nostri mesi di
governo fosse proprio questo: ridare totale fiducia all’Europa,
rilanciare con forza il progetto europeo, riportare al centro della
scena internazionale un continente che ha saputo rinnovarsi ed
ampliarsi. Ma per prima cosa dobbiamo convincere noi stessi di avere le
carte in regola: l’Europa è un global-player che può e deve dare il
proprio fondamentale contributo agli equilibri mondiali. Senza il suo
apporto il mondo sarebbe meno sicuro, meno giusto, meno libero.
Al di là delle contingenze che la nostra presidenza si troverà ad
affrontare, vorrei qui evidenziare alcune linee guida che terremo
presenti nei nostri mesi di governo dell’Europa, finalizzate a superare
l’impasse del momento e a restituire smalto e vigore all’azione
comunitaria.
Il primo punto riguarda l’azione europea sulla scena internazionale. Se
la presidenza greca ha dovuto gestire i mesi difficili della divisione
di fronte alla guerra in Iraq, l’Italia dovrà gestire la fase di
riavvicinamento con l’alleato americano nell’impegno comune contro il
terrorismo: un riavvicinamento sul quale hanno particolarmente insistito
proprio quei Paesi che sull’opzione bellica non erano d’accordo e che
l’Italia può guidare, forte della posizione equilibrata e chiara
mantenuta in tutta la vicenda irachena. Le novità del dopoguerra ci
portano a misurare le ambizioni di collaborazione proprio sul terreno
operativo. Innanzitutto in Medio Oriente: la road map per la soluzione
del conflitto israeliano-palestinese ci vede in prima linea come Unione
Europea nel “Quartetto” degli sponsor, assieme a Stati Uniti,
Federazione Russa e Nazioni Unite. La road map è anche un nostro
progetto e al suo successo dovremo fornire tutto il contributo
possibile. Il percorso che attende i leaders israeliano e palestinese
sarà arduo e richiederà un immenso coraggio per superare i contraccolpi
sanguinosi di chi lavora nell’ombra contro la soluzione di pace. Ma i
primi passi compiuti sono più che incoraggianti e l’Europa ha tutto da
guadagnare dalla pacificazione e dalla stabilizzazione del Medio
Oriente.
Gli aspetti economici della road map sono un’altra priorità del nostro
semestre di presidenza. L’Italia aveva già proposto di affiancare
all’itinerario politico quello che è stato definito un nuovo Piano
Marshall per la Palestina. Credo che l’Europa debba impegnarsi per
realizzare e rafforzare l’apertura degli scambi commerciali e rilanciare
le economie della zona che soffrono, tutte, delle restrizioni dovute ai
conflitti bellici ed agli attentati terroristici. Il piano, che dovremo
mettere a punto nei dettagli operativi e corroborare con ingenti
investimenti di tipo finanziario, può rappresentare uno specifico
contributo europeo alla road map, per riportare la nostra azione
politica al centro dei problemi internazionali, per rinsaldare la
collaborazione con gli Stati Uniti, per aprire prospettive di scambi con
i Paesi arabi e per fornire un aiuto concreto a Israele e al nuovo Stato
di Palestina, sostituendo alla prospettiva di un eterno conflitto quella
di un comune sviluppo nella libertà e nel benessere.
L’obiettivo irrinunciabile: rilanciare l’economia europea
Un secondo obiettivo riguarda la costruzione di una Europa più unita: il
sogno comune degli europei. è stato un lavoro solenne, impegnativo, non
privo di confronti a volte anche aspri. Un lavoro necessario, perché la
posta in palio è enorme: dotare l’Unione europea delle strutture
adeguate per governare un continente di venticinque Paesi, che si
allargherà presto a ventisette e che non dovrà aver remore ad accogliere
altri Paesi europei che busseranno alle sue porte. Toccherà ora alla
Conferenza intergovernativa (Cig) che inaugureremo a Roma, nello
scenario di Villa Borghese, produrre il risultato finale. L’obiettivo
che ci viene proposto dal Consiglio Europeo è quello di concludere i
lavori della Conferenza Intergovernativa entro dicembre, data che potrà
essere rispettata se i lavori della Conferenza si concentreranno su
pochi nodi essenziali: quelli non dipanati dalla Convenzione. Questo
obiettivo non è dettato dal mero interesse italiano di concludere i
lavori nel semestre di competenza, ma dalla responsabilità di assicurare
ai cittadini europei, che voteranno per il rinnovo del Parlamento
europeo nel giugno 2004, la conoscenza preventiva dei contenuti della
loro nuova carta istituzionale. Coinvolgere gli elettori, avvicinarli
alle scelte che costruiranno la grande Europa del domani, è un fattore
indispensabile per ridurre quel deficit di democrazia che viene evocato
da alcuni. Ad ogni buon conto abbiamo ottenuto che il nuovo Trattato
europeo venga firmato a Roma quando saranno entrati in vigore i Trattati
di adesione con i nuovi dieci membri, firmati ad Atene il 16 aprile
scorso. Sarebbe certamente positivo riunire in un breve arco temporale
tutte le novità istituzionali dell’Unione.
Terzo punto, l’economia. E anche qui il nostro Paese lavorerà per ridare
slancio all’azione di rinnovamento inaugurata dalla strategia di
Lisbona. L’obiettivo era quello di rendere l’economia europea entro il
2010 la più dinamica del mondo. Obiettivo ambizioso, certo. Ma le scelte
compiute a Lisbona indicano la strada da seguire e le difficoltà che
oggi incontriamo in tutti i Paesi dell’Unione testimoniano che ogni
rallentamento sulla via di quelle riforme provoca minore competitività,
minore crescita, maggiore disoccupazione. L’attuale cambio euro-dollaro
appare, a giudizio degli operatori internazionali, corretto. Per alcuni
anni, l’euro debole ha consentito alle imprese europee di continuare ad
esportare, anche se i costi erano più elevati rispetto alle imprese
degli Stati Uniti. E i costi più elevati delle imprese europee non sono
quelli delle buste paga dei lavoratori, ma quelli del livello di
tassazione. Dunque non c’è taglio dei tassi d’interesse da parte della
Banca centrale europea che possa salvare i governi dall’unica strada
percorribile: affrontare riforme strutturali a cominciare da quella
delle pensioni. Una necessità europea cui lavoreremo soprattutto con
l’obiettivo preciso di mantenere inalterato il nostro modello di
economia sociale di mercato. Tuttavia misure per incrementare il tasso
di occupazione tra i lavoratori più anziani o per ridurre gli incentivi
al pensionamento anticipato appaiono in linea con le nuove dinamiche
della società europea e potrebbero rendere più graduale una riforma
europea necessaria per garantire la sostenibilità dei regimi
previdenziali all’interno di un patto di solidarietà con le future
generazioni.
Il quarto punto coinvolge il futuro dell’Europa. Con l’ingresso dei
dieci nuovi membri nel maggio 2004 si completa la prima, storica
unificazione del continente. A quattordici anni dalla caduta del Muro di
Berlino, l’Europa è stata capace di riassorbire nel proprio progetto
nazioni e Stati emersi dal lungo letargo del comunismo: ha esteso i
propri confini geografici ad Est, sino al limite della Russia europea e,
con i piccoli ma significativi ingressi di Malta e Cipro, ha rafforzato
la sua presenza nel Mediterraneo. Da un punto di vista politico, questo
processo che ha preso il nome un po’ burocratico di “allargamento”, è
stato il più clamoroso successo degli ultimi vent’anni. Un successo del
quale l’intera Europa deve essere orgogliosa: Paesi europei fiaccati da
decenni di dittature, di economie pianificate, di assistenzialismo
burocratico, di società controllate e ingabbiate, grazie alla realtà
dell’Unione Europea, sono giunti a condividere le nostre stesse libertà
e la nostra stessa democrazia. L’Europa centro-orientale poteva essere
ancora a lungo un’area instabile: oggi è invece un’area stabile, in
forte crescita, che potrà divenire in breve tempo un motore della Nuova
Unione.
Ma l’Europa non può fermarsi qui. Deve proseguire la sua missione,
estendere i suoi diritti, la sua democrazia e le sue libertà ad altre
nazioni europee rimaste per ora escluse: i Balcani, che sono ormai
avviati sulla strada della rinascita, la Romania e la Bulgaria, Paesi
candidati il cui ingresso, nel 2007, sarà la conclusione logica del
primo processo unitario che prelude ad una seconda e più completa
unificazione. Anche per dare una prospettiva europea alle nazioni emerse
dalla guerra nell’ex Jugoslavia-Croazia, Serbia-Montenegro, Bosnia,
Macedonia – che a velocità differenti stanno già muovendo i loro passi
verso Bruxelles, e l’Albania, un Paese che ha compiuto passi
sorprendenti sul piano politico ed economico. L’Italia vuole essere per
i Balcani il motore del nuovo allargamento che rafforzi la dimensione
mediterranea del continente. Rafforzamento che deve passare anche
dall’espansione delle reti infrastrutturali: strade, ferrovie, porti che
costituiscono la rete dei corridoi pan-europei che legheranno la nuova
Europa dei Balcani e del Mediterraneo al resto del continente. In questo
quadro, la nostra presidenza si adopererà affinché l’Unione affronti
positivamente anche la questione della Turchia e sostenga attivamente il
processo di riforma avviato dall’attuale governo di Ankara. La Turchia è
un Paese necessario al riequilibrio verso Sud e un ponte di grande
rilevanza verso il vicino Oriente. Infine la Russia. Sbaglia chi vede in
questa gloriosa nazione qualcosa di estraneo alla storia dell’Europa.
Basta passeggiare nelle vie di San Pietroburgo o perdersi nei viali
della effervescente Mosca di oggi per rendersi conto del contrario, di
quanta Europa vi sia in quelle strade, in quei palazzi, in quella gente.
Ed è per questo che ci impegniamo a dare contenuti più concreti a una
collaborazione sempre più stretta.
I cittadini europei vogliono istituzioni democratiche ed efficienti,
un’economia prospera ed un’Europa che sia anche spazio di libertà e
sicurezza. Ecco perché intendiamo migliorare il livello di
collaborazione nel controllo delle frontiere esterne, adottando efficaci
misure di contrasto alla criminalità transazionale e all’immigrazione
clandestina.
Ciò potrà avvenire attraverso una gestione integrata delle frontiere
comuni ed attraverso una politica comune dei rimpatri, integrando questo
tipo di misure con una politica di controllo, d’accordo con i paesi
all’origine diretta dei flussi che investono l’Europa. Il compito che ci
viene affidato è arduo e sicuramente non potrà essere esaurito nell’arco
limitato del tempo della nostra presidenza, ma il nostro Paese intende
raccogliere la sfida nel fermo convincimento che la sicurezza e la
prosperità del nostro avvenire dipendono dalla continuazione del
processo di integrazione europea che da oltre cinquant’anni garantisce
pace, democrazia, libertà e benessere al nostro Continente e ai singoli
Paesi entrati a far parte della famiglia europea.
(da Ideazione 4-2003, luglio-agosto)
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