Afghanistan, la tomba di inglesi e russi
di Paolo Zanetto

A Kabul non ci sono le Twin Towers: ci sono a malapena le strade asfaltate, le case a un solo piano, uomini erranti per le strade e donne con il burqa, il velo che copre il volto e tutto il corpo. Nella capitale dell'Afghanistan non ci sono grandi simboli dello splendore della religione islamica o della gloria del regime talebano: aspettarsi qualcosa di simile significa ragionare con la mentalità occidentale, ciò che è più distante dal clima imposto dal regime. E dato che non ci sono simboli, gli Stati Uniti non sanno cosa colpire. La "new war" di cui parlano gli americani sembra essere qualcosa di indefinito, a metà tra l'ennesima nuova guerra e la guerra nuova, come mai si è fatta prima. Dare la caccia a Osama bin Laden è un piano certamente legittimo, ma realizzabile con enorme difficoltà nel paese che lo ospita. L'Afghanistan è grande più del doppio dell'Italia ma ha soltanto 25 milioni di abitanti, molti dei quali in questi giorni formano lunghe file alle frontiere - ufficialmente chiuse - per smettere di essere vittime dei talebani e di una guerra da essi voluta. In Afghanistan vivono meno di 40 abitanti per chilometro quadro, una densità abitativa cinque volte inferiore a quella italiana. La popolazione non vive in grandi città, che in effetti non esistono, ma dispersa tra gli altipiani: sarà difficile scoprire dietro a quale sasso di montagna si nasconde Osama, il nemico pubblico numero uno. Gli Stati Uniti e la Nato, se decideranno effettivamente di attaccare questo paese, avranno parecchi problemi da risolvere per portare avanti un attacco rapido e "indolore", sul modello dei raid in Kosovo, dato che è difficile definire gli obiettivi primari da distruggere per mettere in ginocchio il regime. Il problema è che non si vedono alternative.

I generali occidentali sanno bene che invadere l'Afghanistan non è una buona idea: ce lo insegna la storia. Gli inglesi ci hanno provato almeno due volte, nel 1839 e nel 1878: entrambe le volte sono stati sonoramente sconfitti. Quando nel '79 il leader marxista afgano sembrava in crisi, l'Unione Sovietica è entrata militarmente nel paese con l'idea di un intervento rapido. Si sbagliavano di grosso: il conflitto con i guerriglieri mujaheddin, le cui basi si trovavano nel confinante Pakistan, è durato dieci anni. E' proprio questa la fase in cui il rapporto dell'Occidente con l'Afghanistan inizia ad avere luci e ombre: gli americani infatti hanno armato e finanziato generosamente i mujaheddin in chiave anti-sovietica, aiutandoli fino al loro trionfale ingresso a Kabul nel 1992. Peccato che di lì a quattro anni saranno gli "studenti del Corano", i talebani, ad assumere il potere nella capitale, ringraziando gli Usa per i lauti finanziamenti del passato. Avere gruppi estremisti alle porte, si capisce, non fa piacere a nessuno. La Russia ha avuto grossi problemi nella seconda metà degli anni Novanta con terroristi islamici veri (Afghanistan) o presunti (Cecenia). 

A partire dal '96 il regime talebano ha infastidito anche Mosca, che ha iniziato ad appoggiare più o meno direttamente il generale Massud, leader delle forze anti-talebane nel nord del paese, già benvoluto da diversi governi occidentali. Mentre i talebani hanno iniziato a trasformare l'Afghanistan in un grande campo di oppio, nel resto del mondo è nata la discussione sulla politica da adottare nei confronti del più grande produttore mondiale di eroina. Pino Arlacchi, capo dell'agenzia anti-droga delle Nazioni Unite, ha voluto aiutare i talebani a convertire le loro coltivazioni in grano, concedendo decine di milioni di dollari di finanziamento: a Kabul hanno preso i soldi e ringraziato, senza pensare nemmeno lontanamente di abbandonare il loro redditizio commercio. La comunità internazionale è intervenuta quindi presso i paesi confinanti, a partire dal Tagikistan, vera porta d'accesso ai mercati mondiali degli stupefacenti. Da allora le autorità tagike, su consiglio di Mosca, hanno adottato due pesi e due misure: la droga talebana viene combattuta e bruciata, mentre si chiude un occhio davanti a quella trafugata dalle forze del generale Massud.

Tra politiche di democratizzazione dei talebani e appoggi indiretti a Massud, l'Occidente ha ampiamente finanziato l'Afghanistan negli scorsi anni: il Los Angeles Times ha stimato in oltre 40 milioni di dollari il complesso di aiuti (soprattutto indiretti) che l'America ha concesso al governo di Kabul nell'ultimo decennio. Tutto si è interrotto nel '99, in seguito alla distruzione delle ambasciate Usa in Kenya e Tanzania per mano degli uomini di bin Laden. Nel dicembre di quell'anno il consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato una risoluzione di embargo estremamente restrittivo contro l'Afghanistan, il primo segnale concreto di condanna internazionale di quanto accade nel paese. I talebani hanno subito fatto appello all'unità del mondo islamico; la Lega Araba per tutta risposta ha dichiarato l'appoggio alla posizione delle Nazioni Unite, ribadendo che il sedicente governo islamico di Kabul non ha nulla a che vedere con il Corano. In questi giorni comprendiamo quanto fossero corrette quelle parole.

21 settembre 2001

zanetto@tin.it

LINK:

Risoluzione ONU

www.un.org/
Docs/scres/
1999/99sc
1267.htm