Venti di guerra soffiano sul mercato
di Giuseppe Pennisi

Che venti di guerra soffiassero su Wall Street, lo si è avvertito giovedì 13 settembre alla riapertura del mercato obbligazionario, mentre l'azionario era ancora chiuso. I risparmiatori sono letteralmente corsi a comprare titoli del Tesoro mentre sulle piazze europee i mercati del capitale di rischio flettevano bruscamente: tra l'11 e il 14 settembre gli indici europei hanno registrato una vera e propria caduta: - 5,5 per cento a Londra, - 11,8 per cento a Francoforte, - 10,8 per cento a Parigi, - 13 per cento a Milano. Hanno accusato brutti colpi pure altre piazze: - 17,7 per cento Rio, - 7,3 per cento Hong-Kong, - 5,6 per cento Città del Messico. Tra i mercati maggiori, lo scivolo minore è stato quello accusato da Tokio: appena - 2,8 per cento. 

La ripresa a Wall Strett è stata incerta. Per annusare il mercato occorre non tanto tentare di misurare il "patriottismo" degli investitori finanziari quando il grado di fiducia che consumatori e chi opera su investimenti in capitali fissi dell'economia reale riporrà nella manovra anticiclica messa in atto dall'Amministrazione Bush e dalle autorità monetarie. In altri termini, ci si deve chiedere se e in che misura l'aumento della spesa pubblica, la riduzione delle aliquote tributarie e l'allentamento della liquidità e di alcune regole di borsa avranno maggiori effetti sul ciclo economico della crescita della propensione al tesoreggiamento (tipica in tempi di conflitto) e dell'incremento dei prezzi delle materie prime, petrolio innanzitutto.

Ned Davis Associates ha passato in rassegna gli effetti sui mercati delle 28 maggiori crisi politiche dalla caduta della Francia in mano ai tedeschi nel 1940 all'attentato al World Trade Center del 1993; a valori attuali, se Wall Street fosse rimasta aperta il Dow Jones avrebbe perso almeno 1000 punti nella giornata dell'11 settembre. Ciò non vuol dire che l'indice sarebbe rimasto a livelli così bassi. Nei cinque mesi dopo Pearl Harbour il Dow Jones perse il 15 per cento ma quando ci si accorse che l'America avrebbe perseguito la vittoria con determinazione recuperò rapidamente e, dopo la battaglia di MidWay, ebbe una spinta tale da crescere del 20 per cento nell'arco del 1942; negli anni della guerra di Corea, dopo un ribasso del 5 per cento (il giorno in cui i nord-coreani varcarono il trentottesimo parallelo), lo Standard & Poor aumentò del 20 per cento nel 1950, del 24 per cento nel 1951 e di un ulteriore 18 per cento nel 1952. Effetti analoghi ai tempi della guerra del Golfo: una perdita del 14 per cento tra il 2 agosto ed il 2 ottobre 1990, seguita da un aumento del 26 per cento da ottobre al febbraio 1991. Soltanto il conflitto in Viet-Nam ha causato un viaggio protratto dell'orso sul mercato: al netto dell'inflazione, l'azionario ha reso appena l'1,9 per cento l'anno dal 1964 al 1973. 

C'è, però, un dato storico che sopravanza tutti gli altri: se alla fine di settembre del 1929 due zii avessero regalato ai nipotini 10.000 dollari con l'impegno di investirli in un paniere analogo allo Standard & Poor e di ritirarli solo allo scattare dei 71 anni di età, nonostante la grande depressione, due guerre mondiali, recessioni ed inflazioni, gli ex-frugoletti, ormai divenuti vecchietti, avrebbero incassato, il 17 settembre, quasi 9 milioni di dollari (tanto da avere una terza età piena di comodità). Mentre, se li avessero impiegati nell'obbligazionario, ne avrebbero tratto 400.000 dollari (se piazzati a lungo) o appena 140.000 (se collocati a breve).

21 settembre 2001

gi.pennisi@agora.it