"Gli Usa stanno giocando la carta politica"
intervista a Carlo Pelanda di Claudio Landi


Gli scenari allo studio dell'Amministrazione americana presentano diverse opzioni, anche se per il momento prevale la scelta di giocare la carta politica. Di questa scelta e delle prossime che gli Stati Uniti si troveranno ad affrontare, abbiamo discusso con un economista che i nostri lettori conoscono bene, il professor Carlo Pelanda, esperto di vicende americane. 

Professore: a questo punto quale scenario si prospetta?

Facciamo gli analisti freddi e senza emozioni, quindi i lettori prendano "cum grano salis" quanto sto per dire. Lo scenario attuale dimostra che, salvo ulteriori incidenti, questo evento tragico tende a risolvere più problemi di quanti ne abbia creato. 

Ci può spiegare questa teoria con più precisione?

Semplice: questi gravissimi attentati hanno sostanzialmente creato il motivo, per altro inoppugnabile, per mettere mano ad una architettura politica del mercato globale.

Un'architettura istituzionale che lei ha descritto in un suo libro recente a quattro mani con Paolo Savona.

Con Savona avevamo in mente una cosa più raffinata, però la storia prende sempre, purtroppo, sentieri imprevedibili. E' necessario, questo era il punto e rimane il punto chiave, che emerga un sistema di governo del sistema globale sufficientemente forte. E i fatti tragici di questi giorni stanno aumentando la consapevolezza di questa necessità assoluta. Questa sensazione sta cominciando a serpeggiare, anche se, per ovvie ragioni, nessuno si sente di parlarne per ora. E' immorale e un po' cinico dirlo con il sangue ancora fresco a New York. E bisogna tener conto che c'è il rischio di un altro attacco terroristico, questa volta di carattere biologico o nucleare. Un'azione di questo tipo avrebbe conseguenze fortemente destabilizzanti su qualsiasi scenario e quindi nessuno si azzarda a fare previsioni ottimistiche prima di riuscire a capire quanto questo rischio sia stato annullato o ridotto. Bisogna per esempio tener conto che paesi come l'Iraq hanno rifornito le organizzazioni terroristiche di armi biologiche. Ovviamente la circolazione di queste forniture ha sempre incontrato molti ostacoli, grazie ai controlli dei servizi di intelligence. E' anche vero che se le organizzazioni terroristiche avessero avuto la possibilità di trasportare un ordigno nucleare o biologico, probabilmente, a questo punto, lo avrebbero già fatto. E' un rischio che fa tacere tutti per ora, compreso il sottoscritto. Fino a quando non si riuscirà a definirlo sarà difficile costruire uno scenario completo.

Cerchiamo allora di capire quale potrà essere la reazione americana.

Quella che è già in atto. Si tratta di una strategia piuttosto raffinata: i paesi che ospitano il terrorismo, che hanno contatti con queste realtà, o che ne sono ricattati, per esempio i paesi arabi moderati, riceveranno, anzi stanno già ricevendo una forte pressione. Costoro dovranno risolvere tali rapporti con l'aiuto degli Stati Uniti, altrimenti saranno ritenuti corresponsabili a pieno titolo del terrorismo. Ecco perché tutti questi governi si precipitano a dire che con il terrorismo con c'entrano nulla. Ovviamente costoro non sono sinceri ma hanno capito che stavolta gli Stati Uniti fanno sul serio e che rischiano seriamente di essere scalzati dal potere se non si adeguano. Lo scenario previsto dall'Amministrazione Bush è che siano gli stessi leader di questi paesi, una ventina in tutto e prevalentemente islamici, a bonificare le rispettive nazioni dal terrorismo. Si tratta di una strategia perfetta, perché questi stati hanno i mezzi migliori e le informazioni necessarie per colpire i terroristi. In più è noto che la rete terroristica non è autonoma e quindi può essere scaricata dai governi. Anche perché, sia chiaro, il terrorismo non è una questione di pazzia; è piuttosto una strategia precisa utilizzato da alcuni stati che magari affittano per l'occasione una organizzazione, una rete terroristica, per poter evitare di essere direttamente coinvolti negli attentati. Lo scenario preferito quindi è quello di chiudere la crisi con questi paesi-canaglia che sostanzialmente si arrendono e bonificano i rispettivi terrorismi ed estremismi.

In questo caso l'opzione militare sarà più circoscritta?

Se questo scenario si avvererà, l'intensità militare dell'azione non sarà particolarmente rilevante. Ci sarà probabilmente uno scontro con Kabul e forse la chiusura dei conti con l'Irak, insieme con un congelamento del conflitto israeliano-palestinese. Questo, come ho detto, è lo scenario migliore: è il tentativo che è in atto in queste ore. Si tratta di uno scenario politico, con uso limitato dei mezzi militari e con conseguenze geopolitiche stabili. Questi paesi capiscono finalmente i rispettivi limiti e mettono ordine in casa propria, ovviamente sotto l'ombrello americano. O meglio occidentale, perché la partecipazione europea è ormai indispensabile e ineluttabile. Ma vi è un altro scenario meno buono: Mubarak, dunque l'Egitto, o l'Olp, o il Pakistan, potrebbero alla fine essere riluttanti rispetto al progetto americano. Potrebbe pesare la pressione degli estremisti con i quali le élites di questi paesi cercano compromessi per restare al potere. Un tale scenario implicherebbe un intervento più diretto - e dunque più rischioso - degli Usa per sostenere le forze filo-occidentali. Questa ipotesi non viene esclusa dall'Amministrazione, che infatti mette le mani avanti affermando che la crisi potrebbe avere una durata molto lunga. Comunque il tentativo di queste ore è tutto giocato sul versante politico. Non è escluso che possa funzionare almeno in parte e naturalmente questa sarebbe una ottima notizia.

21 settembre 2001

appioclaudio@yahoo.com