"Noble Eagle", si apre la guerra del terzo millennio
di Pierluigi Mennitti


L'unico parallelo con la Guerra nel Golfo è la paziente tela di ragno che l'Amministrazione Bush sta tessendo per realizzare la grande alleanza contro il terrorismo. Per il resto lo scenario che si apre nei prossimi giorni pare essere completamente diverso. Nonostante il rafforzamento della presenza militare americana nel Golfo, con l'arrivo della portaerei Theodore Roosevelt. Nonostante l'invio di un centinaio di aerei tra caccia, bombardieri, Awacs e U2, gli aerei spia. Nonostante la chiamata dei riservisti. Fonti americane e britanniche, raccolte dal quotidiano londinese The Times, disegnano un futuro molto più complesso di quello che potrebbe derivare da un attacco militare a tutto spiano. "Giustizia infinita" (Infinite Justice), il piano militare che si sta dispiegando in queste ore, sarebbe dunque solo una piccola parte di un più vasto progetto, denominato "Operazione Aquila Nobile" (Noble Eagle) che impegnerà i paesi occidentali in una guerra contro il terrorismo lunga almeno dieci anni.

Niente D-Day, niente sbarchi navali, nessuna invasione aerea. Ma anche lanci di missili e bombardamenti non saranno il cuore dell'operazione. Ad essi si farà ricorso solo se saranno necessari al raggiungimento di obiettivi determinati e specifici. Colpire le basi terroristiche, annientare le cellule operative, eliminare i leader del terrore, mettere fuori gioco gli stati o spezzoni di stati che finanziano, ospitano, addestrano i kamikaze. Questi sono gli obiettivi della nuova guerra che si aprirà. ma i mezzi saranno del tutto diversi rispetto a quelli tradizionali che riempiono ancora i manuali strategici in voga al Pentagono. Ecco perché Bush e i suoi stanno aspettando, prendendo tempo. Non è vero che si stanno rispolverando i vecchi piani della Guerra del Golfo. E' vero invece che se ne stanno approntando di nuovi, molto più sofisticati e complessi, per affrontare un conflitto del ventunesimo secolo: quello contro il terrorismo internazionale che non alberga in uno stato definito, non attacca a volto scoperto, non invia proclami di guerra. Colpisce a tradimento con ferocia barbarica e si ritira a contemplare lo sfacelo e il dolore che ha creato.

Bin Laden è un obiettivo ma non l'obiettivo. Il suo arresto sarà solo un tassello della guerra che gli occidentali annunciano spietata e senza quartiere contro le centrali del terrore. Una guerra che sarà in alcuni momenti visibile in altri nascosta, che impegnerà i mezzi militari e le spie, la forza morale dell'America e la diplomazia verso i paesi arabi che non appoggiano il terrorismo. La coalizione comprenderà più stati a più livelli. Ci sono gli alleati della Nato, il nucleo duro, compatto e determinato, pronto a giocare in prima linea la battaglia decisiva. Poi i paesi che temono l'offensiva dell'estremismo islamico, la Russia, la Cina, l'India, coinvolti in un'inedita e imprevista alleanza con gli Stati Uniti. Infine i paesi arabi moderati, le élites laiche che hanno tutto da perdere nella lotta interna con il fondamentalismo che corrode alle fondamenta i loro stati e il loro potere. E forse qui sta il punto più delicato. In questi paesi la contrapposizione tra élites e popolazione è fortissima e assai poco religiosa. Nel senso che la religione, l'islamismo, è solo un pretesto, un'ideologia che copre ben altri problemi. Élites ricche e spesso corrotte si oppongono a popolazioni poverissime e in alcuni casi allo stremo. E' su questo malessere che cresce il consenso di massa verso l'estremismo, l'acqua stagnante della quale si nutre il terrorismo. Ma sarebbe un errore considerarlo la causa: la causa è altrove, è nella sete di potere degli uomini a capo del network terroristico e nella loro decisione di sferrare l'attacco finale all'Occidente.

La dimensione politica di questa guerra sarà decisiva. L'efficacia delle pressioni sui governi stranieri che fino ad oggi hanno tollerato l'attività del terrorismo islamico sul proprio territorio sarà il vero banco di prova. Se i risultati saranno positivi, la guerra potrà essere meno cruenta e le opzioni militari assai più incisive e circoscritte. Qualche timido segnale appare all'orizzonte: Arafat che si smarca dall'abbraccio delle fazioni estremiste e offre il proprio appoggio agli Usa; il Pakistan che offre il proprio spazio aereo alla Nato e si propone in un'opera di mediazione con il governo dei Talebani; il consiglio dei religiosi afghani che chiede a Osama bin Laden di lasciare il paese spontaneamente. Piccoli segnali per ora, la cui portata andrà misurata sui fatti nelle prossime ore. Ma l'intero pilastro "diplomatico" dell'Operazione Aquila Nobile poggia sulla effettiva volontà dei cosiddetti paesi canaglia di collaborare con Washington.

L'Amministrazione americana, dunque, torna a fare politica estera dopo gli anni dell'immobilismo clintoniano e del buonismo a basso costo. Gettate alle ortiche le teorie e le analisi dell'ultimo decennio, Bush prova a ridisegnare la mappa del mondo e a ridefinire un equilibrio che è mancato per troppo tempo. Dalla caduta del Muro di Berlino alla caduta delle Torri Gemelle si è ormai chiusa un'era. Quella che si apre si presenta densa di incognite: è iniziata una guerra che potrebbe impegnarci per il decennio a venire.

21 settembre 2001

pmennitti@hotmail.com