La libertà si mantiene a caro prezzo
di Massimo Lo Cicero


Un'organizzazione sociale fondata su mercato e democrazia presenta un evidente vantaggio competitivo: elevati tassi di crescita nella produzione di ricchezza, numerose opportunità di trasferire quella ricchezza aggiuntiva in una redistribuzione del benessere. Quando si ha il coraggio e la voglia di lasciar perdere i filtri "ideologici" la globalizzazione appare solo come l'espansione di questo modello, che si afferma in termini competitivi su altri. Una percezione troppo euforica dei vantaggi della libertà individuale, che è la radice del mercato e della democrazia, viene calmierata dagli economisti quando sono costretti a ricordare che "non esistono posti distribuiti gratuitamente". Dove c'è un vantaggio deve esserci con costo; dove c'è una opportunità c'è un pericolo; dove c'è libertà c'è il rischio che un individuo la utilizzi per aggredirti. Sono sempre gli economisti che ricordano come la dimensione delle aspirazioni è sempre esuberante rispetto a quella delle risorse disponibili per conseguirle: la razionalità impone quindi di usare le risorse al meglio mentre il mercato e la democrazia sembrerebbero essere la soluzione più favorevole per realizzare questo uso efficiente delle risorse.

Purtroppo la libertà non ha prezzo: è una risorsa a disposizione di tutti e la sua esistenza genera un vantaggio diffuso, per gli individui e la comunità. Quando, e se riesce ad organizzarsi, un piccolo gruppo di individui la può utilizzare per aggredire e distruggere la comunità stessa. Si può leggere quasi come una sorta di fenomeno estremo di moral hazard, di opportunismo post contrattuale. Un certo numero di "opportunisti" sfrutta le basi del contratto di convivenza sociale per attaccare e distruggere la società stessa. E' quasi un caso paradossale ed atroce della circostanza delle "mani legate" all'avversario: firmare contratti per paralizzare l'altro piuttosto che per trovare una soluzione reciprocamente conveniente dei propri problemi. Insomma, siamo in presenza di un comportamento anomalo: catturare le risorse comuni per trarne vantaggi individuali. Questa vera e propria devianza sociale si può praticare, per definizione, solo in piccoli gruppi; quando una larga parte della comunità esercita direttamente la libertà di aggredire l'altro scompaiono mercato e democrazia. 

Ne segue che per difendere l'esistenza stessa della vita civile, gli individui debbano affidare ad una organizzazione il monopolio della forza e della violenza per "produrre" e difendere le condizioni necessarie per la manifestazione della libertà. Queste condizioni sono un vero e proprio bene pubblico. Sono una risorsa comune che deve essere difesa da chi la minaccia. Servizi di intelligence, polizia ed eserciti devono, tuttavia, essere controllati da uno stato che rispetti i principi democratici e raccolga il consenso spontaneo di larga parte di cittadini. Anche se il consenso è condizione necessaria e non ancora sufficiente della fisiologia democratica: al consenso si affianca la libertà di cambiare senza traumi la classe dirigente: queste sono le regole della conservazione efficace ed efficiente della libertà.

L'attentato di New York ci costringe a riflettere su questi temi in due direzioni. Per difendere i vantaggi che la globalizzazione diffonde su scala mondiale il "compromesso democratico" del Novecento è insufficiente. Lo stato nazionale non è attore capace di guidare le politiche economiche e non è un attore sufficiente per garantire la libertà alla scala mondiale. Gli Stati Uniti pongono giustamente agli altri stati, che dicono di riconoscere mercato e democrazia, la questione di una scelta di campo non ambigua su questo punto. Compiuta la scelta la si deve tradurre in comportamenti pratici. La deregulation degli anni Novanta è oggi sul banco degli imputati. Smontare le organizzazioni troppo complesse ed affidare ai privati funzioni delicate, come la sorveglianza degli aeroporti o la gestione delle carceri, ha aperto le porte ai terroristi che hanno usato in termini infami e sleali la libertà contro la vita civile. Ma la deregulation è stata imposta dalla dilagante presenza di organizzazioni, inefficaci, alimentate da deficit pubblici crescenti che bruciano il risparmio che avrebbe potuto essere impiegato in investimenti più efficienti. I vantaggi dell'espansione nel ritmo di accumulazione, dunque, sono stati spesso intercettati da gruppi corporativi ben identificati. Una politica finanziaria che voglia difendere la libertà, insomma, deve restituire al mercato quelle funzioni che gli stati non sanno svolgere in termini efficienti perché deve concentrare la presenza pubblica nel "core business" dell'azione statale: il monopolio della forza per difendere un regime di libertà. Si possono privatizzare le gestioni delle carceri, ma non si possono affidare ai privati le corti di giustizia o gli eserciti. Su questo terreno l'Europa non ha lezioni da somministrare agli Stati Uniti e dovrebbe, piuttosto, imparare la lezione americana, metabolizzando la civiltà e la cultura politica di quel grande paese. 

21 settembre 2001

maloci@tin.it