“Stati Uniti compatti al fianco del presidente”
intervista a James Rubin di Pierpaolo La Rosa


“Non credo che ci sia alcuna relazione tra gli attentati dello scorso 11 settembre e il processo di pace in Medioriente. Chi pensa che Osama bin Laden agisca per la causa palestinese rimarrà deluso”. Sigaretta in mano, sguardo che non tradisce emozioni, James Rubin esclude che gli attacchi contro New York e Washington siano frutto dell’atteggiamento disincantato con cui l’amministrazione Bush ha guardato finora alla questione arabo-israeliana. Ex portavoce del Dipartimento di stato americano dell’era Clinton, Rubin è ora commentatore per la carta stampata (Financial Times) e i principali networks televisivi (Bbc, Cnn). Di passaggio in Italia, dove ha partecipato a un convegno sulla comunicazione, ha parlato con Ideazione.com degli ultimi sviluppi della tragedia che ha ferito a morte gli Usa.

E’ proprio sicuro che la crisi mediorientale non sia stata la causa scatenante degli attacchi suicidi?

Non ritengo che ci sia un ragionevole motivo per collegare le attività di Osama bin Laden al processo di pace tra israeliani e palestinesi. D’altra parte, i terroristi utilizzerebbero qualsiasi scusa pur di giustificare i recenti attentati. Sono persone - ed è fondamentale che l’opinione pubblica europea lo capisca - che non portano avanti rivendicazioni. Non hanno neppure un’agenda politica. Non siamo in presenza dell’Ira o di altri movimenti separatisti. Ci troviamo, invece, di fronte a gruppi la cui sola pretesa è quella di compiere atti di terrorismo. Ad ogni modo, bin Laden ha calcolato male gli effetti di un attacco di questo tipo sulla sensibilità del mondo islamico, di cui lui peraltro non è un rappresentante.

Cosa deve fare Bush, alle prese con un simile disastro al primo anno di mandato presidenziale?

Bush si trova di fronte ad una sfida enorme, difficile. In queste ore, il suo compito è di mantenere la calma davanti agli americani che hanno subito il più grave attacco della loro storia, superiore a Pearl Harbour. Qui hanno colpito New York, città simbolo dell’America per così tanti immigranti - compresi quelli italiani - nonché centro culturale e commerciale. Certo, Bush non deve eccedere in promesse se non potrà mantenerle.

Intanto è già pronta “Operazione infinita”, la campagna militare statunitense contro il terrorismo internazionale. Come pensa si articolerà?

Naturalmente, non sono a conoscenza dei dettagli. Credo però che Bush utilizzerà tutti gli strumenti a propria disposizione: forze aeree, truppe di terra, azioni sotto copertura, cooperazione a livello di intelligence, interferenze nelle transazioni finanziarie, pressioni diplomatiche. Mi aspetto che tutte queste misure siano usate.

Crede che l’opinione pubblica metterà fretta a Bush nella complessa caccia ai responsabili delle stragi al World Trade Center e al Pentagono?

Penso che i cittadini daranno al presidente tutto il tempo necessario per preparare la migliore azione possibile. E’ chiaro che la risposta non sarà facile: ma se non faremo nulla, questi gruppi - e io sono convinto che dietro di loro vi sia bin Laden - continueranno ancora ad agire. Il popolo americano non metterà sotto pressione Bush, ma gli darà modo di prendere una decisione libera. Democratici e Repubblicani lavoreranno insieme nel Congresso, tutte le differenze tra i partiti si sono dissolte. La realtà è che gli Usa sono uniti, compatti, al fianco della Casa Bianca.

C’è stato qualcosa, nella risposta di Bush, che l’ha più colpita?

Fino a questo momento, sono rimasto veramente impressionato dal modo con cui lui e il suo team stanno costruendo una sorta di consenso, di sostegno universale per quello che hanno intenzione di fare. E’ significativo, ad esempio, che la signora Megawati Sukarnoputri, il presidente dell’Indonesia - il più grande paese islamico del mondo - sia stata ricevuta alla Casa Bianca.

24 settembre 2001

pplarosa@hotmail.com