Il Pakistan sul filo del rasoio
di Rodolfo Bastianelli


Nelle dispute che opponevano le grandi potenze europee sulla scena internazionale nell'Ottocento, lo scacchiere dell'Asia centrale rivestiva un peso fondamentale per gli equilibri diplomatici del tempo, tanto da far assumere alla questione afgana il nome di "great game" visto che tutti i paesi attribuivano a questa sperduta nazione un'importanza fondamentale per la stabilità delle relazioni internazionali. Oggi, come un secolo fa, l'Afghanistan ed il Pakistan sono nuovamente al centro di una delle più gravi crisi politiche internazionali degli ultimi anni, una crisi che però, va ricordato, non nasce con gli atti terroristici compiuti dagli estremisti islamici legati a bin Laden ma con la "guerra fredda" e con le politiche messe allora in atto nella regione.

Da sempre alleato degli Stati Uniti, il Pakistan vide il suo ruolo strategico incrementarsi notevolmente in seguito all'invasione sovietica dell'Afghanistan che trasformò il paese nella base d'appoggio dei guerriglieri afgani impegnati nelle loro azioni contro l'Armata Rossa. Il regime del generale Zia ul-Haq divenne così uno dei partner più importanti degli Stati Uniti, che tramite i servizi segreti di Islamabad prese a finanziare e ad armare i gruppi armati della resistenza afgana. Tra questi figuravano già allora formazioni legate agli ambienti dell'integralismo islamico, come il gruppo di Osama bin Laden, che però al momento risultavano utili in chiave antisovietica. Con il ritiro delle truppe sovietiche dall'Afghanistan nel 1989 ed il successivo crollo dell'Urss, il Pakistan vide il suo ruolo strategico ridursi drasticamente, cominciando anche ad essere visto da Washington non tanto come un alleato ma come un fattore di rischio per la stabilità della regione.

L'appoggio militare ed il successivo riconoscimento diplomatico accordato da Islamabad al regime integralista afgano dei Talebani, il sostegno ai gruppi armati islamici attivi nel Kashmir contro l'India ed i test nucleari effettuati nel 1998 in risposta a quelli effettuati da New Delhi, hanno finito per rafforzare ulteriormente l'immagine negativa del Pakistan presso la comunità internazionale. Ed è stato proprio per migliorare tale immagine e ristabilire un rapporto di fiducia con gli Stati Uniti che nell'ottobre di due anni fa il generale Pervez Musharraf ha rovesciato con un colpo di stato il governo guidato dal premier Nawaz Sharif, accusato da più parti di essere troppo vicino ai fondamentalisti islamici. Più moderato e pragmatico, Musharraf ha cercato di far ripartire anche il dialogo con l'India, anche se i colloqui non hanno portato ad alcun risultato concreto.

Con l'attentato della scorsa settimana il quadro politico internazionale è però radicalmente cambiato. La prospettiva di un attacco statunitense contro l'Afghanistan ha infatti posto il Pakistan di fronte a due alternative: o continuare a sostenere il regime dei Talebani finendo isolato sul piano politico ed esponendosi al rischio di diventare oggetto della risposta militare americana, oppure cedere alle richieste di Washington in cambio della cancellazione dell'enorme debito estero del paese. Abitato da 140 milioni di abitanti di religione musulmana, guidato sempre da governi espressi o dai militari o dall'oligarchia terriera, il Pakistan si trova attualmente davanti ad una situazione economica disastrosa. Proprio per evitare di condurre il paese al collasso, Musharaff ha accettato le richieste poste da Washington, che comprendono l'uso dello spazio aereo pakistano e la possibilità di far stazionare reparti militari al suo interno, mettendosi però a rischio di subire una forte contestazione popolare. Gran parte della popolazione pachistana è infatti ostile agli Stati Uniti e guarda con simpatia a bin Laden, senza contare che la regione di Peshawar ospita una minoranza di etnia Pashtun, la stessa a cui appartengono i Talebani.

Come però ha sottolineato il Washington Post in suo editoriale, l'esercito e la popolazione potrebbero anche accettare di scaricare l'Afghanistan visti gli alti costi economici che comporterebbe il sostegno al regime di Kabul, a patto però che gli Stati Uniti non allarghino la loro campagna contro il terrorismo anche all'attività dei gruppi pachistani in Kashmir, un'area considerata di vitale interesse per Islamabad. Nel frattempo gli sviluppi della situazione in Pakistan non riguardano solo l'Afghanistan ma anche la Cina. Storico alleato di Islamabad, Pechino ha sì dichiarato il suo sostegno nella lotta contro il terrorismo ma ha anche ribadito la sua contrarietà ad azioni militari condotte senza l'autorizzazione delle Nazioni Unite ed alla presenza di truppe americane sul territorio pachistano. Alle prese con il problema dei musulmani presenti nel Sinkiang, la Cina teme infatti che un attacco favorirebbe una ripresa delle azioni terroristiche dei gruppi autonomisti locali, mentre la presenza di reparti americani in Pakistan, unita al riavvicinamento in corso tra Washington e New Delhi, finirebbe pere rafforzare notevolmente il ruolo degli Stati Uniti nella regione a danno di Pechino. Il Pakistan si trova quindi alle prese con una scelta decisiva. Il "great game" in Asia centrale è appena ricominciato.

21 settembre 2001

rodolfobastianelli@tiscalinet.it