Il ruolo di un paese alleato
di Giuseppe Pennisi
 

"We shall never surrender" ("Noi non ci arrenderemo mai"). Questa frase, pronunciata da Wiston Churchill al termine di un appello radiofonico alla nazione, mentre su Londra imperversavano i bombardamenti a tappeto dei nazisti, è la prima che mi è venuta in mente alla visione delle immagini televisive sulla distruzioni perpetrate dal terrorismo nei luoghi-simbolo degli Stati Uniti. Distruggendo il World Trade Center, tentando di bombardare il Pentagono, incendiando il Campidoglio e mettendo a repentaglio la Casa Bianca, non si colpiscono solo gli Usa e gli americani, ma i valori del mercato, della democrazia parlamentare, della difesa dell'occidente. In breve, non solo si fanno migliaia di vittime ma si ferisce tutti noi. Lo si fa in un modo premeditato e organizzato, utilizzando le tecniche più raffinate a disposizione e tutti gli strumenti della globalizzazione. Di fronte a questo attacco, occorre rispondere con la stessa determinazione di Churchill: "We shall fight in every field, in every house, in every kitchen, in every roof" ("combatteremo in ogni campo, in ogni casa, in ogni cucina, su ciascun tetto"). 

Come può tradurre questa determinazione in politiche ed azioni puntuali un paese di medie dimensioni, alleato degli Stati Uniti, che ha provato sulla sua pelle la tragedia del terrorismo e che potrebbe soffrirne ancora, come provano fatti delle ultime settimane, nonché degli ultimi giorni? Non è questo un interrogativo cui si può rispondere da economista, puntando sulle strategie di sviluppo economico di lungo periodo tali da creare quel capitale sociale che è il solo vero antidoto al disagio in grado di sradicare il terrorismo internazionale. E' una domanda a cui dare una risposta da cittadino della grande civiltà occidentale, da cittadino atlantico che ha avuto la fortuna di vivere metà della sua vita adulta negli Usa e che ricorda come nel secolo appena trascorso gli americani abbiamo mandato i loro figli a difendere la civiltà europea e a morire per essa.

In primo luogo, occorre ridurre le occasioni di visibilità, soprattutto internazionale, che il terrorismo desidera avere per mostrare la propria capacità di incidere, distruggendo. Per l'Italia ciò vuole dire chiedere alla Fao di posporre "sine die" il vertice in programma a Roma tra poco più di un mese e mezzo e prendere misure estremamente severe per potere, invece, tenere il vertice Nato come da calendario. E' quanto mai essenziale che i paesi dell'Alleanza Atlantica sappiano dare prova di essere coesi e di non farsi intimidire. Al contrario, già cinque anni fa il vertice Fao è stato una vetrina per Fidel Castro ed altri leader contigui a posizioni marcatamente anti-occidentali e anti-americane. In secondo luogo, occorre isolare i focolai interni e le connivenze, più o meno aperte, di chi simpatizza con la matrice anti-occidentale e anti-americana del terrorismo: i centri, sociali o asociali che siano e si vogliano chiamare, devono essere soggetti a stretta sorveglianza e, contrariamente alle prassi di questi ultimi anni, devono essere assoggettati alle stesse normative (in materia di igiene, sicurezza, lavoro dipendente) di tutti gli altri luoghi aperti al pubblico; i simpatizzanti dei "no global" e di altri gruppi usi alla protesta non pacifica devono essere tenuti sotto controllo; le manifestazioni devono essere autorizzate preventivamente. 

In terzo luogo, queste misure devono essere accompagnate da azioni positive per illustrare, sin dalle scuole elementari, come chi è contrario alle conquiste dell'Occidente non vuole tornare ad una mitica Arcadia ma ad una società di mera sussistenza con alta mortalità infantile, schiavitù, discriminazioni nei confronti delle donne e dei diversi, dittature, aspettative di vita alla nascita non superiori ai 35 anni, nonché per descrivere quella grande tragedia del secolo scorso che fu quel comunismo a cui alcuni partiti politici ancora si richiamano sin dalle loro ragioni sociali ed altri non hanno mai voluto abiurare. Possono farlo generazioni abituate ad andare in Bmw ed al tempo stesso a mitizzare il Che? Pure e soprattutto nei loro confronti, "we shall never surrender".

14 settembre 2001

gi.pennisi@agora.it