La forma del nemico
di Luciano Lanna


Di fronte alla agghiaccianti immagini della tragedia di New York e Washington tutti i commentatori hanno parlato di guerra. "Questa è la guerra del ventunesimo secolo - ha ammesso un generale degli stati maggiori - e noi l'abbiamo persa". Ed è come se fosse stato rimosso l'ultimo tabù. "Siamo in guerra" è stata l'espressione ricorrente delle ultime giornate, come a smentire qualsiasi illusione da "fine della storia". Torna la guerra nell'immaginario occidentale, torna il conflitto nell'epoca della globalizzazione e della de-territorializzazione. Ma come diceva Carl Schmitt "il nemico è la forma del nostro proprio problema", soprattutto perché "pensare la guerra" significa tentare di oltrepassare il confine in termine agonali, mettere alla prova la tenuta della propria identità, accettare la sfida tragica della storia. In questa chiave la novità della tragedia americana è la forma del nuovo nemico, la sua apparente assenza di volto. L'aggressore non è un avversario dichiarato, localizzato, identificato. Non c'è un antagonista tradizionale, territorialmente definito, legittimato dal diritto internazionale. Siamo oltre il classico conflitto geometrico, oltre lo scontro simmetrico tra due combattenti visibili posti uno di fronte all'altro. La violenza distruttiva non sembra avere un centro. Siamo di fronte alla guerra postmoderna, ad una tragica violenza bellica allo stato liquido, sfuggente. Oltre il terrorismo del Novecento, oltre la guerra tra eserciti organizzati.

Come ha scritto Barbara Spinelli, il nuovo nemico "è nichilista e tutti i suoi desideri convergono verso quest'unico obiettivo: la 'nientificazione' di una civiltà da cui si sente umiliato e che gli sta di fronte con la forza della sua ricchezza, del suo progresso tecnico, economico, politico". E punta sulla tentazione apocalittica: "quel che per l'integralista è un sogno, per il laico democratico è un incubo". Tocca allora riandare indietro e riattingere ai classici dell'Occidente: da Tucidide, a Clausewitz fino, appunto, a Carl Schmitt. La risposta alla violenza, al tragico, al conflitto non può che essere politica. E' dalla devastante violenza tra greci che nacque la polis, la città, la più ardita e necessaria delle costruzioni umane. Ed è stato per neutralizzare i massacri feroci tra cattolici e protestanti - quando l'Europa era il teatro di stragi quotidiane - che nacque lo stato moderno. Così come dopo le due drammatiche guerre civili europee del Novecento sorse la forma di un ordine internazionale bipolare. E' nella politica, nella sua capacità di dare una risposta al polemos, la vera risposta alla guerra, continuazione l'una dell'altra con altri mezzi. E' nella politica, nella sua capacità di dare risposta alla violenza, che viene assorbito il polemos, che il potenziale distruttivo prende forma. 

Insomma: la nuova forma del nemico deve riuscire a far nascere la nuova forma della politica. E' il nostro compito storico. E' l'interventismo del ventunesimo secolo. Tutti sono stati sconvolti dalle immagini delle Due Torri. Ma è arrivato il momento, sempre per dirla con la Spinelli, di "resistere alla tentazione della moderna Apocalisse". La risposta necessaria alla nuova guerra passa per il rifiuto dell'approccio rassegnato e di qualsiasi pacifismo che nega il conflitto. Il polemos c'è e attende una risposta, inevitabilmente anche politica. Occorre infatti neutralizzare la carica distruttiva dei fondamentalismi, dare uno spazio laico alla politica e, contemporaneamente, evitare di cadere in un fondamentalismo reattivo. La necessità è quella di una nuova figura nella politica dopo la centralità degli stati-nazione, dopo il bipolarismo internazionale e dopo il postcomunismo degli anni Novanta. Un nuovo ordine internazionale? C'è bisogno di pax romana, di laicità nella politica, al di là dei furori integralisti, da qualsiasi parte essi provengano. Ma per togliere legittimazione e alibi a tutti i fondamentalismi nichilisti occorre che l'Occidente sia veramente tale, degno della sua storia e ancorato alle sue radici: greche, romane, cattolico-mediterranee, rinascimentali, jeffersoniane. La risposta alla violenza non passa attraverso semplificazioni ideologiche ma attraverso il faticoso e laborioso passaggio dallo jus publicum aeuropeum a un nuovo e inedito assetto della politica internazionale.

14 settembre 2001

lucianolanna@ideazione.com