La prima guerra dell'era imperiale americana
di Virgilio Ilari

E' auspicabile che il comunicato del Consiglio supremo di Difesa italiano convocato per venerdì 14 settembre, corregga l'ambiguità dell'odierna dichiarazione parlamentare del ministro degli Esteri Ruggero, influenzato dalla tesi del senatore Andreotti, secondo il quale l'attacco dell'11 settembre non è stato un "atto di guerra", ma un "atto di terrorismo". Questa tesi è superata dal fatto compiuto, perché il 12 settembre il Consiglio Atlantico, convocato ex articolo 5 del Patto, ha ufficialmente sanzionato l'interpretazione data dal presidente Bush. Non è stato un gesto dimostrativo, ma un attacco sostanziale, in parte riuscito (temporaneo ma gravissimo dissesto del sistema economico mondiale) e in parte fallito (uccisione del presidente degli Stati Uniti). Anche se, verosimilmente, le cose peggiori non ce le hanno ancora dette, può capirlo anche un bambino che non abbiamo di fronte un gruppo di pazzi criminali, ma un Nemico in grado di impiegare un'Armata di 55 ninja sostenuti da una potente intelligence e struttura logistica. 

L'entità dell'Armata è un elemento secondario: come secondario è che - stavolta e per ora - le armi impiegate siano stati oggetti di uso comune (aerei civili) trasformati in ordigni bellici mediante qualche temperino, secondo il principio dell'Aikido di volgere contro l'avversario la sua stessa forza. E' secondario che per ora non abbiamo ancora messo a fuoco lo scopo di guerra e la strategia del Nemico (per ora sconosciuto). E' infine secondario il fatto che il Nemico sia uno stato o una coalizione di stati, sia - per la prima volta - una Organizzazione non governativa (Ong). Come ci ha spiegato Clausewitz, la guerra è "un camaleonte", perché cambia natura nel corso stesso del conflitto. Ma non è una situazione ignota alla storia: la guerra internazionale non governativa è la forma di guerra dell'età imperiale (non uno "scontro di civiltà" come vaneggia Huntington o addirittura di religione, come farnetica Baget-Bozzo, facendo il gioco del Nemico, la cui forza sta appunto nel convincere milioni di diseredati che si tratti di questo). Questa forma di guerra l'hanno conosciuta per quattro secoli i Romani. Ora tocca all'Impero Americano d'Occidente, di cui siamo parte anche noi, perché oltre alle nostre patrie nazionali, c'è anche Roma, patria communis.

Questa prima guerra dell'Era Imperiale Americana fa giustizia di tutte le scemenze sul declino americano, sul neoisolazionismo e sulle ridicole velleità terzaforziste dell'Europa degli economisti. L'America Imperiale di Bush ha tracciato una riga sulla sabbia con la punta della spada. Nessun governo mondiale, figuriamoci quelli europei, oserà andarsi a mettere dall'altra parte della collina. Riconoscere che si tratta di "guerra" significa togliere alla gente spaventata la pericolosa illusione di potersi "togliere il pensiero" con una reazione puramente militare. La reazione sarà anzitutto politica, perché la guerra è non solo un aspetto, ma l'aspetto supremo della politica. Non vi sarà aspetto della politica, non solo estera e di sicurezza, ma anche interna, perfino socioeconomica, che non verrà "militarizzato". L'Italia perderà quel poco che restava della sua autonomia e della sua tendenza a barcamenarsi. Nella nuova situazione non sarà più possibile, per esempio, che il quotidiano di Cesare Romiti dedichi tre pagine al giorno per sessanta giorni, a difendere un terrorista, come fece nel 1998-99 con il caso Ocalan. L'allineamento prenderà anche forme autoderisorie, come ad esempio il manifesto di solidarietà col popolo americano affisso nei giorni scorsi dai Ds.

14 settembre 2001