"Tutte le strade portano a bin Laden.
Siamo pronti ad attaccarlo"
intervista a John Hulson di Barbara Mennitti


Ricercatore di studi europei per la Heritage Foundation, John Hulson è tra i massimi esperti americani di politica internazionale. Dall'11 settembre, da quando gli Stati Uniti hanno scoperto di essere vulnerabili sul proprio territorio, la sua attenzione è tutta rivolta alle carte, ai documenti, alla storia del terrorismo islamico. Dati che si incrociano, informazioni che vengono alla luce. "Sono due giorni che non chiudo occhio", ci confessa al telefono dalla sua casa di Washington dove lo abbiamo raggiunto per fare anche il punto delle indagini.

Verso chi si indirizzano i sospetti in queste ore?

Verso il signor bin Laden e le spiegherò i motivi. Primo, il livello in cui l'aereo ha colpito il World Trade Center richiedeva una conoscenza architettonica molto sofisticata. Osservando l'impatto del secondo aereo sul World Trade Center, si vede che esso ha accelerato, poi cambiato direzione e infine ha virato contro l'edificio in modo da causare il maggior danno architettonico possibile. E' un grado di sofisticazione che francamente la maggior parte dei gruppi terroristici non possiede. Secondo, chiunque sia stato, ha dirottato voli nazionali invece di voli internazionali perché è molto più facile. Per questo sono necessarie abitazioni sicure, che a loro volta richiedono organizzazione e denaro e anche questa è una cosa che riporta al signor bin Laden. Il terzo elemento è la natura simultanea dell'attacco e questa forse è la prova più importante. Bin Laden ha già organizzato un attacco così durante il bombardamento delle ambasciate in Africa. E' una tattica tesa a creare il massimo terrore possibile perché dà la sensazione che il mondo in cui si vive non esista più. Cordinare attacchi terroristici è una cosa difficilissima: questa è la firma dell'organizzazione terroristica di bin Laden. Il quarto elemento è dato dal fatto che gli attentatori sapevano cosa accadeva nei due edifici: gli agenti di borsa di solito arrivano alle otto e mezzo di mattina per controllare il mercato asiatico. Poi vanno a prendere un caffè, tornano e controllano le borse europee quindi quelle americane. Dunque sapevano che il palazzo sarebbe stato pieno al momento dell'impatto. Nel Pentagono il briefing ha luogo tra le nove e le nove e mezzo nel Navy, che è esattamente il punto colpito dall'aereo. Anche qui lo staff era al completo. In entrambi i casi i terroristi sono riusciti ad avere il più alto numero di vittime possibile. Si tratta di un grado di intelligence che la maggior parte dei gruppi terroristici non ha. Mettendo insieme tutti questi elementi, denaro, movente, organizzazione, pianificazione, arriviamo diritti a bin Laden. 

Ritiene che dietro i commandos di kamikaze vi siano degli stati? E quali?

Penso che questa sia davvero la questione chiave. Prima di tutto i talebani, nel momento in cui si accetta l'ipotesi di bin Laden, perché i talebani gli sono inestricabilmente legati. Stiamo parlando di persone che ritengono che la rivoluzione iraniana non sia stata abbastanza radicale. Sono anti-americani dal punto di vista ideologico. Sono affini a bin Laden, che vale trecento milioni di dollari, dispone di un miliardo di dollari, e li finanzia. Fanno finta di non sapre bene che cosa succeda ma sappiamo benissimo che lo proteggono. La questione chiave è se c'è dell'altro, perché il presidente Bush e il segretario Powell hanno detto esplicitamente che attaccheremo non solo le persone direttamente coinvolte ma anche chiunque le abbia aiutate. Per me la questione è se l'Irak è coinvolto nei finanziamenti. Ancora non conosciamo la risposta, ma di questo dovremo discutere.

E il Pakistan?

Ritengo che la volontà di cooperare dimostrata in questi giorni dal Pakistan sia un ottimo segno. Fin dagli anni Ottanta, quando la Cia ha usato Islamabad per far avere armi ai mujaheddin - da cui sono nati sia i talebani sia bin Laden - il Pakistan è stato molto importante perché riesce a parlare a questa gente come gli americani non possono. Quindi ritengo un ottimo segnale il fatto che stiano cooperando con noi.

La Nato ha applicato l'articolo 5 del suo trattato. Cos'altro si aspettano gli Stati Uniti da un paese alleato come l'Italia?

Essendo un americano che si occupa di questioni europee devo dire che spesso è frustrante il rapporto con gli alleati europei. Spesso noi ci vediamo come dei contadini che spendono molto tempo a lavorare duramente la terra e si chiedono perché lo fanno. E il perché l'abbiamo scoperto in questi giorni quando il fiore è sbocciato, quando gli alleati europei di propria iniziativa hanno applicato l'articolo 5 del trattato. E' stata una cosa bellissima per noi americani e ci sentiamo profondamente gratificati e commossi dalla solidarietà dimostrata dai nostri alleati. Quello che chiediamo per prima cosa è una cooperazione tra servizi segreti: dobbiamo sapere esattamente chi ha compiuto questo atto. Se reagiremo in maniera spropositata rischieremo solo di radicalizzare la situazione in Medio Oriente, che è esattamente quello che vuole bin Laden. Se reagiremo troppo poco gli faremo credere che possono compiere impunemente atti così terribili: e anche questa è una cosa che fa il gioco di bin Laden. Quindi dobbiamo provare al resto del mondo che sappiamo chi è stato. Dobbiamo produrre una concatenazione di prove e per farlo abbiamo bisogno di coordinare i servizi di intelligence con gli alleati. La Nato ha un Comitato di intelligence che si incontra regolarmente ma è molto importante avere accesso, per esempio, ai dati del MI5, il servizio segreto britannico che dal periodo imperiale conserva informazioni sull'Afghanistan che noi non abbiamo. Anche il coinvolgimento della Russia, che per la sua amara esperienza in Afghanistan ha molte informazioni, può rivelarsi prezioso.

In queste ore Silvio Berlusconi ha espresso la massima solidarietà al vostro paese. Ritenete che la politica estera italiana sia stata sempre coerente e leale nei confronti degli Alleati?

Penso che l'Italia sia uno degli alleati principali dell'America. In tutto il mondo non c'è un alleato più vicino agli Stati Uniti di Berlusconi. So che il presidente Bush lo considera un'anima gemella sul piano ideologico ma anche su quello politico, e con lui l'Italia si è spostata su posizioni ancora più filoamericane. Berlusconi è un europeo di stile americano, è un self made man, è un imprenditore, capisce i vantaggi della libertà ed è sempre stato un filoamericano convinto. Apprezziamo davvero la sua solidarietà e quella del governo italiano e lo consideriamo un grande amico degli Usa. 

L'Italia è un paese di frontiera. Nuclei terroristici legati all'estremismo islamico transitano e stazionano anche sul nostro territorio. Quali misure devremmo adottare?

Penso che questo sia un esempio perfetto di un campo in cui possiamo coordinare gli sforzi. Confermo che in passato molti terroristi hanno transitato in Italia e molti sono venuti negli Stati Uniti e dovremo coordinare le operazioni concretamente. Per combattere questo fenomeno, dovremo condividere le informazioni, scoprire come queste persone entrano e quindi adottare degli standard uniformi nell'ambito dell'alleanza. Credo che l'Italia e gli Stati Uniti abbiano molto da insegnarsi a vicenda.

Pochi minuti fa è arrivata la notizia che l'America sta richiamando i riservisti. State per attaccare?

Quando queste cose accadono, all'inizio si pensa che ci vorranno mesi per organizzare un attacco. Ma la raccolta delle prove è stata molto più rapida e credo che sarà una questione di settimane, forse di giorni. Il ciclo sta accelerando e io penso che sì, attaccheremo.

14 settembre 2001

bamennitti@ideazione.com