Tolkien e la politica: due mondi distinti
e distanti
di Riccardo Paradisi
“Spero che le sia piaciuto il Signore degli Anelli. Piaciuto è la
parola esatta. Perché è stato scritto per divertire (nel senso più
alto del termine) per essere leggibile. Non c’è nessuna allegoria
nell’opera, né morale né politica, né del mondo contemporaneo. E’
una storia fantastica”. Così scriveva in una lettera a Michael
Straight il professor John Ronald Reuel Tolkien rispondendo ad
alcune domande che il direttore del New Republic gli aveva posto
per la recensione di The lord of the rings. Il professore di
Oxford insomma fu il primo a incaricarsi di smentire tutti coloro
che in questo lungo dopoguerra hanno tirato per il mantello le
creature benigne partorite dalla sua potente fantasia: dal mago
Gandalf agli hobbit Bilbo e Frodo, dall’eroe Aragorn a Legolas
l’elfo. Sono di destra o di sinistra questi personaggi? Adesso che
sta per uscire il primo film della trilogia hollywoodiana ricavata
dal “Signore degli Anelli” (si prevede che entro il 2004, quando
la versione cinematografica del romanzo sarà completata, verrà
battuto ogni record di incasso) qualcuno torna a domandarselo,
fornendo risposte rigorosamente di parte. Con buona pace dello
stesso Tolkien il quale dal canto suo si asteneva da ogni impegno
politico, si disinteressava ai conflitti sociali e, barricato a
Oxford, recitava saghe in islandese.
E’ certo comunque che i meno adatti a lanciare appelli contro la
strumentalizzazione dell’opera tolkeniana siano proprio quei
critici militanti della sinistra che oggi dimostrano di apprezzare
Tolkien ma che nel 1970, come un sol uomo, gridarono allo scandalo
quando la casa editrice Rusconi, per merito di Alfredo Cattabiani,
pubblicò “Il signore degli Anelli”. Da quel momento - complice una
dotta e provocatoria introduzione di Elemire Zolla - si alzò un
muro contro il professore di Oxford, dipinto di volta in volta
come conservatore, reazionario, addirittura razzista (gli orchetti
- disse un tale oggi giustamente consegnato all’oblio -
“rappresentano per Tolkien una razza inferiore”).
Qualcuno, con assoluto sprezzo del ridicolo, giunse addirittura a
sospettare che l’ubicazione a est della terra di Mordor, maestro
delle oscure forze del male, fosse un’esplicita allusione
all’unione delle repubbliche socialiste sovietiche, quasi che
Tolkien fosse il bardo delle oscure forze della reazione o un
agente della Cia. Del resto, a parte questi deliri, poteva piacere
ai nipotini di Luckac, ai custodi della narrativa del
rispecchiamento, ai guardiani del realismo socialista un autore
che sulla scorta della mitologia nordica aveva messo in forma un
mondo immaginario, animato, pervaso dalla magia? Piaceva di più,
certamente ai contestatori hippy dei campus americani che a
ridosso del ’68 avevano scambiato per un trip allucinogeno la
cerca della compagnia dell’anello: un grosso equivoco, tinto
peraltro di grottesco, in cui caddero tutti assieme freak,
ecologisti e figli dei fiori. Un’illusione ottica indotta dalla
droga da cui germinarono perfino gruppi rock. Equivoci appunto.
11 gennaio 2002
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