Malaparte
di Walter Mariotti
Arcitaliano, antitaliano o altritaliano? Tutto. E il contrario di
tutto, naturalmente. Forse è proprio questo, questa sua
indefinibilità, quest'imprendibilità del personaggio - che a Bruce
Chatwin assomigliava, più a un tedesco angosciato dal dramma
barocco che a un erede trasparente dell'aristocrazia etrusca - a
fare di Curzio Malaparte un italiano. Anzi, il prototipo di una
certa "italianità cosmopolita", strapaesana eppure riconoscibile
ovunque, sempre e comunque. Una italianità globale. La sua
incoerenza, l'irrequietezza, le conversioni repentine e le fedeltà
assolute, le pose da primadonna e le fughe nella solitudine, gli
odi inestinguibili e gli amori frivoli. La capacità d'improvvisare
e la profonda, solida tradizione classica. Protagonista del
Novecento maggiore, Malaparte è quello che più ha gettato nel
mondo l'imprinting dell'italiano come carattere extra-ordinario,
debordante, genio e sregolatezza che lottano in una sfida perenne
e impossibile. Repubblicano per scapigliatura, fascistissimo
campione di un fascismo impossibile, frondista condannato al
confino e poi antifascista ante litteram, prima di pensarsi anche
comunista e risolversi in un'estrema conversione al cattolicesimo,
Malaparte resta un enigma, proprio come la casa che volle a
propria immagine nell'estremità di Punta Massullo, a Capri. Uno
dei vertici del razionalismo italiano e al tempo stesso uno degli
oggetti più strani dell'architettura occidentale. Un mistero
oscuro, Curzio Malaparte, in cui ci riconosciamo ma che continua a
non farci dormire la notte.
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