Sofia Loren
di Enrico Vanzina
Sofia Loren, intanto, è per me un ricordo d'infanzia, di quando a
casa mia si narrava di un mitico provino che i dottori Ponzi e De
Laurentiis chiesero a mio padre Steno di fare alla ragazza. Se ben
ricordo doveva essere per il film Ci vediamo in galleria. E dire
che io e mio fratello abbiamo "odiato", in senso amichevole, la
Loren per via di amichetti non troppo simpatici come Alex e
Guendalina Ponti. Ma allora non ci potevamo accorgere di quella
vera e propria tragedia che Sofia Loren, tacciata di essere una
rubamariti, dovette sopportare a causa della fuga all'estero per
bigamia di Ponti. Poi diventammo buoni conoscenti. Anzi, quando
mio fratello Carlo fece l'aiuto regista di un film di Monicelli,
invero brutto La Mortadella, io e Marco Risi siamo stati a New
York per un mese - perché un tempo il cinema ti rendeva ricco - e
m'accorsi, per la prima volta, della grandezza maestosa di Sofia
Loren. Era tutto un invito a brokkolino, che letteralmente
impazziva per la Loren; ho trascorso, anche, una Pasqua nel suo
ranch in California, attaccato a quello di Michael Jackson. L'ho
incontranta poi, di nuovo, mentre girava un film di Maurizio Ponzi
a Viareggio. Abbiamo davvero passaggi in comune.
L'aspetto che mi ha sempre affascinato di Sofia Loren è la
dedizione alla professione. Uno dei segreti risiede nel suo
truccatore Peppino Annunziata, un tipo all'antica, tanto che nel
1972 restai basito del fatto che - per presentarsi sul set alle
7,30 - Sofia si alzasse alle 3 e 30 del mattino, cioè andava a
letto alle otto di sera, per recarsi una mezz'ora dopo al trucco.
Dietro questa bellezza straordinaria, c'è stato, sin dall'inizio,
un lavoro enorme, nonchè una serietà formidabile. Oltre alla
fisicità ed al talento - fondamentali per un'attrice - resta
strepitoso che sia ancora il più bel decolleté in circolazione,
con quei fianchi stretti e le spalle larghe. Con in più un
particolare decisivo: la camminata, nei vicoli o che faccia la
signora si muove attraverso la storia visiva di un film, senza mai
teatralizzarsi. In più, Sofia Loren, ha legato la tradizione
all'anticonformismo: il pubblico internazionale ama tantissimo la
semplicità di chi non ha mai e poi mai, voluto mascherare le sue
origini popolari, cioè se ti deve mandare affanculo, non è mai
volgare, ma verace. Qui, davvero, emerge il lato popolare della
mamma che, dopo una difficile maternità, protegge i suoi figli,
senza nasconderli, diversamente dalle altre attrici.
Donna sposata, per giunta, con un uomo più grande di lei cui deve
tutto, e che assieme a Vittorio De Sica è stato il primo a capire
l'immediata internazionalità dell'italiana Loren. Basta vedere La
Ciociara restaurata, per comprendere come Sofia in persona
rappresenti un capovaloro di donna, divenuta star internazionale,
esportatrice di un modello di fedeltà antica ai figli e al marito.
Famosa come Rita Hatworth, con quel nome da telefoni bianchi, sul
solco esemplare di Mamma Romilda, capace di cucinare pizze fritte
da farti perdere la testa, ma che l'ha sempre tenuta a stecchetto,
con il conforto e l'appoggio della sorella Maria, incarna il volto
e il corpo della samurai partenopea più conosciuta al mondo.
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