Enzo Ferrari
di Italo Cucci

Era seduto nel suo famoso ufficio di Maranello dove aveva ricevuto divi, sceicchi, capi di Stato. E bellissime donne. Alla sua sinistra, il grande ritratto di Dino, il figlio perduto, sotto il quale erano accese tre piccole lampade, una rossa, una bianca, una verde. Lui stava in poltrona, con lo schienale tutto indietro e in posizione di trequarti come se volesse tenere le distanze e certo mi squadrava dietro le lenti nere che gli davano un'aria feroce. Era feroce: ero stato tradotto alla sua presenza da Carlo Pelloni, il mitico Pagatore del Mese del Resto del Carlino, per un chiarimento. Due giorni prima - era la fine del 1971 - il pilota del Cavallino Ignazio Giunti era morto in corsa a Buenos Aires e io avevo scritto parole dure sul Carlino (Saturno divora i suoi figli"), accanto alla tragica tabella che ricordava i piloti sacrificatisi alla guida di una Ferrari, scatenando l'ira del Drake. Raddrizzò la poltrona, appoggiò i gomiti sul tavolo, si protese verso di me: Giovanotto, in America conoscono solo tre italiani, Mussolini, Fellini e Ferrari, in Italia mi tocca subire gli attacchi di giornalisti imberbi e stravaganti, si rende conto?". Capii di dover dire qualcosa e risposi come potei, dichiarandomi sincero ammiratore del primo, concittadino simpatizzante del secondo e finalmente onorato di conoscerla, commendatore". Ingegnere", disse lui, e mi regalò un sorriso, soddisfatto - capii più tardi - della prima risposta.

Diventammo amici, nel senso che mi gratificò della sua amicizia, e spesso, nei quindici anni successivi, mi invitò a Maranello, e di lì alla casa di Fiorano, vicino alla pista, a consumare culatello, parmigiano e lambrusco; io mangiavo, lui parlava, raramente di auto, ma di uomini e di politica: le corse in auto con il Duce verso la Porrettana ("Guidavo io, son forse l'unico che gli ha fatto provare cos'è la paura"; gli incontri con Togliatti e Lama (aveva gran rispetto degli operai, dei "rossi" veri, dei Vecchi Fusti longanesiani); la spettegolata visita di Pertini Presidente che si presentò a Maranello a bordo di un'odiata Maserati (e vi risparmio la feroce battuta che l'accompagnò). Un giorno Enzo Biagi propose di nominarlo senatore a vita: Io a Roma ci sono stato prima della guerra, e mi è bastato - commentò --questa politica non fa per me". E l'amico giornalista chiuse il capitolo bonariamente: Ferrari in fondo era un fascistone".


 

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