Dante
di Vittorio Mathieu


Per scrivere la Divina Commedia sembrerebbe necessaria una biblioteca di tre o quattromila codici manoscritti: il massimo che si potesse avere a quel tempo. Eppure Dante intraprese la sua opera maggiore quando ormai era in esilio e in continuo spostamento. Una sosta un po' più lunga solo a Verona e una casa, alla fine, solo a Ravenna. Per il resto viaggi. Anche a Parigi? Non è documentato, ma in spirito certamente sì, e anche a Colonia; e anche a Siviglia e a Cadice. Un italiano, un fiorentino nel mondo… Era un cavaliere, ma ormai senza cavallo. Per una legge demagogica, votata anche da lui, doveva appartenere ad una corporazione (le Trade Unions impareranno): l'arte dei medici e degli speziali. Probabilmente, però, non disponeva neppure di un callifugo. Si spostava a piedi, come spesso anche i professori universitari, che cambiavano sede ogni anno in tutta Europa. Dunque portava tutto in mente.

La sua capacità di memorizzare è paragonabile solo a quella degli antichi. Ma quel che per noi è più importante è che si traduca nella sua poesia, incredibilmente mnemonica. Di nessun altro poeta è così facile ricordare a memoria i versi. Per contro della Commedia non abbiamo manoscritti coevi: la ricordavano a memoria anche i contemporanei. Dante rimase radicato al suo "bel San Giovanni", ma riassumeva in sé tutta l'Europa medievale, ovvero tutto il mondo di allora. Nel Medio Evo, il localismo era sempre immerso nell'universalità. Tanto che ancor oggi gli inglesi si meravigliano quando apprendono che Sant'Anselmo era nato ad Aosta (cioè in "Lombardia"): per loro Sant'Anselmo è di Canterbury come per i normanni era l'abate del Bec. E la Commedia è tutta fatta di localismi immersi nell'universalità.




 

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