Caterina da Siena
di Lucetta Scaraffia

A fine Ottocento la suffragetta inglese Josephine Butler, cercando un modello di donna emancipata da proporre alle donne della sua epoca, fu costretta, se pure metodista, a ricorrere a Caterina da Siena (1347ca/1380), a cui dedicò una biografia. E in effetti quella di Caterina, venticinquesima figlia di un tintore senese, è senza dubbio una storia singolare, un raro esempio di donna autorevole ascoltata dai potenti della terra. Una vocazione mistica molto precoce la condusse a formulare i voti di castità, povertà e obbedienza in giovane età per fare parte dell'ordine delle terziarie domenicane. Rimase quindi a vivere in casa, sottoponendosi ad estenuanti penitenze - flagellazioni, digiuni, veglie - visitata da frequenti esperienze mistiche che la resero meta del pellegrinaggio di seguaci devoti. Da questa casa cominciò a scrivere lettere al papa, ai re e ai cardinali: un intreccio di riflessioni teologiche e morali, di consigli spirituali, di duri rimproveri e di veementi incitamenti ad agire secondo le direttive trasmessele direttamente da Dio.

Soprattutto vive erano in lei le preoccupazioni per le sorti della Chiesa, lacerata dal trasferimento del papato ad Avignone, e la partecipazione alle vicende politiche del suo tempo. Dettò anche opere mistiche, come il Dialogo della Divina Provvidenza, strutturato come un colloquio fra Dio e la santa, e ricevette le stigmate. La sua attività pubblica - che la constrinse anche a frequenti viaggi, a Pisa, a Roma, a Firenze e ad Avignone - si svolse sempre sotto il controllo e la protezione dell'ordine domenicano senese. A Siena curò gli appestati, operò delle pacificazioni. Nell'ultima parte della sua vita si recò a Roma, dove morì, per convincere il nuovo pontefice Urbano VI, finalmente tornato nella città santa, a riunire personalità del mondo religioso per progettare una riforma della Chiesa. La sua fama è continuata fino al Novecento, quando è stata proclamata patrona d'Italia e dottore della Chiesa.

 

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