Capitani coraggiosi
di Marco Nicoletti
Domenica 1° settembre, alle ore 18.30, proveniente da Torre del
Greco, attraccava nel porto di Anzio, con al timone il comandante
Giovanni Ajmone Cat, il bastimento San Giuseppe Due, lo stesso
motoveliero che trent'anni fa raggiunse due volte il Polo Sud per
portare la bandiera italiana marittima dove non era mai stata e
per dimostrare, con un po' di orgoglio "che gli italiani - parole
del Comandante - sono gente dotata di fantasia e capacità
organizzativa tali da realizzare, con pochi mezzi, imprese che ad
altri costerebbero molto di più". Questa volta il legno non era
reduce da nessuna gloriosa spedizione, ma tornava per essere
destinato al museo di Via Nettunense, per essere collocato a
riposo nella cavea di cemento armato appositamente realizzata
accanto alla villa di Ajmone Cat. Una casa ove i reperti
dell'Antartide, scientificamente ordinati, convivono con
suggestive memorie d'Africa, trofei di viaggi e di cacce,
documenti di storia militare e familiare… forse, vien da pensare,
l'archetipo del Vittoriale è sempre vivo nell'italiano che si
accinge al racconto della propria storia. Giovanni Ajmone Cat ha
l'avventura nel sangue. E' figlio di Mario, primo Capo di stato
maggiore della risorta Aeronautica militare, e di Carla Angela
Durini, che negli anni del regime fascista compì, per conto del
Governo, la prima attraversata dell'Africa equatoriale, dal Mar
Rosso a Lobito in Angola, su mezzi meccanizzati che erano camion
forniti dalla Om; un'impresa che ebbe una certa eco e venne
immortalata dall'Istituto Luce in un lungo documentario ancora
oggi visibile.
Anche le avventure del San Giuseppe Due e del suo Comandante
riempirono, a loro tempo, le pagine della cronaca italiana,
sebbene fossero anni quanto mai ostili alle espressioni di vis
patriottica. Era il 1968 quando Giovanni Ajmone Cat, agronomo con
la passione del mare e un'esperienza fatta da mozzo sulle barche
da pesca del litorale laziale, commissionò al cantiere Palomba di
Torre del Greco la costruzione di un'imbarcazione con precise
caratteristiche: una feluca di sedici metri, con due vele latine.
Sebbene Antonio Palomba fosse un maestro d'ascia appartenente ad
una famiglia di costruttori i cui scafi navigavano da almeno un
secolo i nostri mari, l'impegno si rivelava assai notevole poiché
il committente, inserendo nel suo capitolato alcuni inconsueti e
robustissimi rinforzi nelle strutture, aveva fatto immediatamente
intendere quale sarebbe stato il primo viaggio del motoveliero:
una crociera in Antartide. Gli accordi vennero comunque mantenuti
e così il 27 giugno 1969 il San Giuseppe Due nuovo di zecca
salpava dal porto di Anzio per un'avventura fuori del tempo,
riprendendo una tradizione interrottasi verso la fine dell'800,
quando Giacomo Bove, tenente di Vascello della Regia Marina
italiana, condusse la Goletta San Josè in una spedizione verso le
terre antartiche a Sud dell'America Latina. Ajmone Cat volse la
prua verso Gibilterra, poi raggiunse l'Atlantico e gli scali a
Buenos Aires, Montevideo, Mar del Plata e, ancora più a Sud, le
isole Falkland/Malvinas, lo stretto di Drake e finalmente approdò
tra i ghiacci dell'Antartide, ove venne piantato per la prima
volta il tricolore. Quindi il ritorno.
Dopo questo primo assaggio di avventura - durato comunque due anni
- le terre bianche erano oramai entrate nel cuore del Comandante,
cosiché nel '73 il San Giuseppe Due, interamente revisionato,
riprese il mare, ma questa volta la spedizione, di carattere
esclusivamente scientifico, nasceva sotto l'egida della Lega
navale italiana, con contributo di mezzi della Marina militare, un
equipaggio di quattro sottufficiali di Marina e assistenza
scientifica dell'Istituto Superiore navale di Napoli. Il 1° luglio
1973 si riparte dunque con uomini nuovi e nuove vele, confezionate
secondo la tradizione da un altro mitico artigiano di Torre del
Greco, Giovanni Ascione. Dopo le consuete tappe il legno giunse,
navigando tra i ghiacci, alla base di Deception e da lì, per poter
svolgere gli studi geologici e i rilievi idrografici stabiliti dal
programma, si spinse fino alla base americana di Palmer, a quella
inglese di Argentine Island e a quella argentina di Almirante
Brown. Poi, dopo mesi di struggente solitudine per l'equipaggio,
trascorsi schivando l'insidia degli iceberg con eliche danneggiate
e alberi spezzati, di nuovo con la prua verso casa.
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